A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

sabato 30 novembre 2013

Gita sociale

Non ricordo nemmeno a quando risaliva l'ultima "gita in pulman". Forse Roma allo sciopero degli specializzandi, nel 1800... che poi è l'unico mezzo di trasporto "su ruote" che non si associa all'ansia per la guida altrui.
Dopo 1 anno di digiuno dalle gare, a Francoforte mi sono ripromesso di sfruttare i rientri a casa per indossare un pettorale e per vedere le persone a cui tengo di più.
La prima occasione è la mezza di Padenghe sul Garda alla quale arrivo con un folto gruppo dell'Atletica Mottense capeggiato da Matteo, impeccabile organizzatore, le cui doti di capogruppo erano già evidenti nell'adolescenza.
Il gruppo è folkloristico e mantiene il termine "atletica" nel nome anche se dei 50 presenti solo 13 si cimenteranno nella gara di 21 chilometri. Degli altri, una parte parteciperà alle due non-competitive di contorno, l'altra farà da supporto logistico e nutrizionale (90 uova lesse, mortazza e salame a vagoni, svariate bozze di rosso e frizzantino...).
Sabato giornata infame. La pioggia non ha mai smesso di cadere. A Desenzano ci rifugiamo in un localino chic dove ci vengono serviti due calici di Franciacorta a 6.50 euro l'uno (esticazzi!). La sera, dopo la cena, si svolge il rituale, magistralmente presieduto da Pasquale e Matteo, della consegna dei pettorali. La sala si trasforma in una bisca clandestina quando si aprono le scommesse sui piazzamenti. Io vengo considerato anche se non facente parte della Società e dato, giustamente, al secondo posto. Alla vigilia dichiaro un 1.25 (finirò in 1.25.06, svizzero).
La mattina di domenica è coperto ma non piove. Allo sparo perdo subito di vista Michele, il cavallo più quotato (2.59 a Venezia 1 mese fa), e non lo rivedrò più. Chiuderà con più di 2 minuti di vantaggio. Divario incolmabile, adesso.
Fino al km 12 il percorso è scorrevole con molti tratti in discesa. Impossibile impostare un'andatura regolare, bisogna assecondare le gambe. Quando cominciano i falsopiani e gli strappi il gruppetto di cui faccio parte si sfalda. Qualcuno se ne va ma i più perdono terreno, segno che non sono stato il più incosciente. Tenere i 4 al km mi è impossibile e percorro il km più lento in 4'30''. Sto facendo una faticaccia che erano 18 mesi ma non mollo. Gli ultimi 2 km sono in discesa e, pur lasciando andare le gambe, non recupero posizioni. Chiudo in buona spinta, facilitato anche dalla lieve discesa, in 1.25.15'' ufficiale e solo allora mi accorgo che il terzo dell'Atletica Mottense mi arriva 40'' dietro. Immagino che se mi avesse riconosciuto, sarebbe stata una bella lotta. Matteo chiude con un bel 1.28, qualche secondo  oltre il PB, ma a mio parere il percorso penalizza di circa 1' rispetto ad una gara pianeggiante.
Il ritorno mi regala un pisolino in prima fila ed un paio di chicche da parte di un gruppetto che, in una fase di brain storming geografico, arriva a concludere che Rossano Calabro si trova vicino a Bari, in Sicilia.
1.25 è un buon punto di partenza per un anno di ritorno alle mezze con l'obiettivo dichiarato di avvicinare l'ora e 22 e zerozero, ma anche qualcosa in meno.
Lunedì è tempo di rientrare a Tirana. In aeroporto vengo informato con un sorriso che la compagnia aerea che mi doveva portare in Albania è fallita. Il viaggio è rimandato di 24 ore. Tutti gli amici a cui racconto il fatto reagiscono con incredulità e stupore. Solo uno reagisce con un sorriso amaro, e la cosa mi preoccupa: è lo Stewart Alitalia, Stefano di Milano che abbassa gli occhi e dice "Chissà quando toccherà anche a noi". A lui una menzione particolare. Per il solo fatto di essere in volo con due bambini ci ha trattati come se fossimo la famiglia Obama. Queste sono le persone che fanno bene alle Aziende Italiane, non i manager ladroni che, dopo aver lasciato un buco più grande di quello che hanno trovato, se ne vanno con una "buonuscita" milionaria ed un altro posto assicurato, mentre non sarebbero nemmeno in grado di organizzare un gita sociale.

venerdì 15 novembre 2013

887

Può essere ma anche no, che correva l'anno 1992. A 17 anni lavorare a 30 chilometri da casa mi permetteva di tornare al mio paese una due volte al mese.
Che da gennaio di quest'anno ad una distanza 40 volte superiore tornavo più spesso.
Autobus di linea ce n'erano pochi, a fine luglio, e quel giorno avevo perso quello buono. E per la prima volta ho provato a mettere fuori il pollice e vedere quello che succedeva. E non ci è voluto tanto che un Golf grigia si fermasse e tre giovani mi caricassero sul sedile posteriore. Certo, poteva andare meglio, ma tutto sommato anche peggio.
Quel viaggio mi è rimasto stampato nella mente. Un po' perché l'autista si credeva il re del Mugello, un po' perché, per non fare troppo la figura dello sfigato, trangugiavo birra da una bottiglia che continuavano a far girare e che gentilmente mi porgevano (e dai, Stè, passala). In quel viaggio non poteva mancare lo stereo a palla ed i finestrini abbassati. Dalle casse uscivano brani che non avevo mai sentito, ma che dovevano essere il tormentone dell'estate, soprattutto quella che diceva "non me la menare, non capisco cosa vuoi...". Timidamente sono riuscito a desumere trattarsi di un gruppo il cui nome era costituito da dei numeri che, a causa della necessità di organizzarmi per una telefonata da una cabina e dello sforzo per inventarmi un paio di balle per non far insospettire mia mamma circa il mio mezzo di trasporto, si sono irrimediabilmente cancellati dalla mia mente annebbiata.
Poi è arrivato agosto con le sue 330 ore di lavoro e le albe al mare, e la mia prima "nave scuola" (benedetta lei) e i sensi di colpa e i drammi di una fidanzatina tradita che quando sono tornato a casa stava già con un altro (giustamente) e tante cose.
A settembre nella mia testa erano rimasti gli 887, 4 in più del dovuto, ma per sempre sarebbero rimasti legati a quell'estate di nuova nascita, di nuove esperienze.
Da allora sono passate molte estati diverse, le "stagioni" al mare non erano più un periodo di isolamento perché gli amici avevano le macchine e la domenica qualche ora al mare la facevamo insieme. E c'era sempre Luca Flaborea che portava lo stereo con cinquanta batterie di riserva e un po' di 883 c'era sempre.
Ancora oggi, riascoltando la voce di Max Pezzali, il cuore torna a quelle estati, alla cumpa dell'oratorio, all'odore del forno delle pizze o della macchina del caffè, al vento umido della spiaggia di notte, al rumore della strada sotto l'appartamento di Bibione.
Ancora oggi su Grooveshark cerco gli album degli 883 e me li canto e dentro si muove qualcosa che, voglia o no, nessun altra musica muove nello stesso  modo.

Che anni , quegli anni


domenica 10 novembre 2013

Il post maratona

Parola d'ordine: no stress.
E così, assecondando la mia voglia di correre, pari a zero almeno nei primi 3 giorni, ho riposato per 6 giorni consecutivi, riprendendo solo la domenica successiva (8 giorni fa) giusto per approfittare di una bella giornata.
Il tempo a Tirana fino ad oggi è stato a dir poco settembrino, eccezionale anche a questa latitudine a novembre inoltrato, con necessità di un leggero intimo solo nelle ore precedenti il sorgere del sole (e solo perché io sono freddoloso), con cielo sereno e temperature ben oltre i 20 gradi per tutto l'arco della giornata. Inoltre lo spostamento d'orario permette di uscire prima delle 6 senza luce frontale e di intravvedere una debole luce attraverso le tapparelle all'ora della sveglia, elemento di non poco conto nella lotta tra bip-bip del telefonino e tepore delle coperte.
Domenica scorsa allora ho reinfilato le scarpe e mi sono rifatto vivo al lago con un giro in assoluta ignoranza di qualsiasi dato che non fosse di provenienza dagli arti inferiori. Nel risalire a casa ho sfruttato la salita per 6 sprint con precoce affaticamento e sereno rientro a casa. In totale 50 minuti di corsa con gambe indolenzite dall'inusuale e benefico sforzo. Lunedì ancora riposo e martedì 10 km in progressione senza forzare e quindi con buone sensazioni. Non c'è che dire, ho bisogno di risvegliare le gambe e l'amico maratoneta Piergiovanni, già 2 volte under 3hs, mi aiuta con un programma di ripresa dell'agilità che mercoledì prevede una decina di prove sui 300 metri con recupero identico in 90''. Non disponendo di percorsi misurati mi accontento di andare in 63-64 secondi e tornare come da programma. Con il susseguirsi delle prove la falcata si fa via via più appesantita e chiudo la sezion specifica della seduta dopo 28 minuti circa e 11 ripetizioni. Giovedì 15 k in scioltezza con buona media finale. Venerdì mi impigrisco a letto pur svegliandomi qualche minuto prima dell'ora stabilita ma penso che valga ancora la regola del "no stress".  La seduta passa a sabato mattina: dopo 7-8 km di fondo lento produco alcuni sprint in salita con efficienza migliore rispetto a 5 giorni prima. Mi fermo a 8, quando sento che la spinta viene a mancare alla fine dell'ascesa.
Tempo di fare colazione e sono di nuovo al lago con Leonardo per una "corsa" benefica a favore dei bambini di Tirana. La giornata è meravigliosa e si fatica a stare sotto il sole con la t-shirt regalata dall'Organizzazione. L'atmosfera è festosa, è una corsa per bambini e gli adulti accompagnano soltanto, ciò nonostante non mancano i booster ai polpacci di un papà ed un paio di personaggi che, agguerriti, si piazzano in prima fila pronti a scattare allo sparo.
Sono 5 km, non certo una corsa adatta ad un bambino di 4 anni come Leonardo. Cerco di spiegargli che dovremo camminare, soprattutto all'inizio, ma desisto subito: la corsa per lui è solo spontaneità, perché rovinarla con le mie raccomandazioni da vecchio? Dopo i primi metri un po' affollati riusciamo a trovare spazio e correre sotto i faggi e tra i passanti è una vera meraviglia. Nonostante le asperità Leonardo corre con regolarità per 2 chilometri poi ovviamente desiste. Gli altri 3 saranno all'insegna dei "perché?" e dei lamenti sul traguardo che non arriva... nulla di nuovo, quindi.
All'arrivo è una festa. Mamma e Cecilia ci aspettano per incitarci e tagliamo il traguardo in mezzo a tanti genitori e bambini accaldati. Leonardo si gusta i meritati "Boccòrn" (pop-corn) ed io una Coca fresca in un bar all'aperto. Appena recupero il cavetto della macchina fotografica scarico le foto del baby-runner.
Oggi si purga. 20 km con le salite sulle gambe sono, per me, una seduta fastidiosa. Riesco ad incrementare negli ultimi 5 chilometri ma è una faticaccia. So però che dal pomeriggio il tempo cambia e mi godo l'ultima seduta asciutta e tiepida. Chiudo a 4'34'' di media, non un granché per quello che doveva essere un progressivo, ma mi va bene.
Nel pomeriggio bambini a letto e divano sotto la copertina con Laura. Temporale fuori e caminetto dentro.
Chi sta meglio di me?
Buona settimana e buon autunno.

giovedì 31 ottobre 2013

Frankfurt marathon 2013, il racconto

Solo ora tolgo le scarpe dalla borsa in cui le ho riposte domenica pomeriggio. E nemmeno per correre, visto che stanotte ho tremato sotto le coperte in preda alla febbre ed ora me ne sto chiuso in casa con le mani fredde ed i brividi lungo la schiena. Febbre o no, oggi non avrei comunque corso perché i quadricipiti sono ancora lievemente indolenziti. La scarpa destra ha ancora i lacci sciolti fino quasi al primo incrocio, memore del chip con il logo BMW che è stato lì ospite per una notte e mezza giornata.
I ricordi sono ancora colorati di sensazioni, suoni e odori, insomma vivi, a testimoniare che ciò che ho vissuto è stato intenso, ma non per forza reale. Ci sono dei buchi nella mia memoria della gara di domenica. Lo dico pur consapevole del rischio di essere giudicato un vecchio smemorato. Per tre ore ho vissuto totalmente assorbito nel presente e la massima proiezione temporale di cui sono stato capace non andava oltre l'orario presunto di arrivo. E' stato come correre al buio con una pila frontale potente ma puntata verso il basso ad illuminare la strada per 3 metri: perfetta conoscenza degli elementi che in quel momento contano, totale estraneità ed indifferenza per tutto il resto. Pertanto restano soprattutto emozioni più che "avvenimenti" da raccontare ed anche quei pochi sono separati da zone oscure che, per quel che ne so, potrebbero essere stati vissuti da qualcun altro.

Sfioro il corpo caldo dei maratoneti che mi stanno accanto e davanti e dietro. Sto un po' meglio di prima. La temperatura non è male, saranno 14-15 gradi, ma c'è un vento fastidioso che ha reso penosa la prima parte dell'attesa in gabbia. Forse mi sono vestito troppo poco ed ho paura che avrò freddo. Lo speaker cerca di scaldare la folla ma i tedeschi sono come il vento che soffia da destra. Sessanta secondi dopo lo sparo transito sotto l'arco dello start. E' cominciata la mia ottava maratona.

Noi runner non (ancora) evoluti soffriamo di due sindromi: la sindrome RT e la sindrome del primo chilometro. La sindrome RT è caratterizzata dalla focalizzazione ossessiva delle nostre ambizioni sul real time, quasi che dichiarare quaranta secondi in più su una gara di oltre tre ore costituisca motivo di vergogna.
La sindrome del primo chilometro è definita dai seguenti tre criteri:
- ansia per ogni rallentamento che si possa verificare nei primi 1000 metri.
- terrore che al passaggio al km 1 le cifre del cronometro segnino anche 1'' in più del tempo deciso a tavolino ottenuto dall'integrazione di informazioni quali: velocità media dell'ultimo lunghissimo, peso corporeo dopo aver fatto pipì e cacca, temperatura, umidità e velocità del vento, pendenza della strada (calcolata al terzo decimale)
- attenzione eccessiva verso ogni minimo segnale proveniente da: piedi, gambe, vescica, retto (ecco, lo sapevo che dovevo fare pipì attraverso le transenne, sono 15 minuti che non la faccio ed ho già la vescica come un zampogna. Oppure: Maledizione, sapevo che ieri sera non dovevo mangiare la foglia di basilico che c'era nella pasta. Troppo fibre mi fanno sempre questo effetto).
Alla paletta del chilometro 1 passo in 4'25''. Il più è fatto.

BIP. Guardo il cronometro dopo 4 chilometri. 21'36''. Sul dorso della mano sinistra ho riportato dei numeri. Il primo è 22'. Sono in anticipo. Ok, adesso rilassati e rallenta un filo.
BIP. 21'38''. Un minuto avanti rispetto al preventivo. Ok, adesso rilassati e pensa alle gambe. Come stanno? Dunque, il lunghissimo di 36 km l'ho fatto a 4'29'' di media e l'ho finito cotto. Sono quasi 10'' più veloce e sto bene. Questo passo mi viene automatico. Che si fa? Rallento un po', dai.
BIP. 21'45''. Niente, non mi schiodo da quel ritmo. Per le mie gambe è una musica che si rifiutano di ignorare.
BIP. 21'39''. Potrei andare avanti così in eterno.
Passo alla mezza in 1.31.25''.

Le cose sono due: a) ho esagerato e me ne pentirò. b) sarà una gran giornata.

Mi viene una bella idea: per non rischiare, accorcio la maratona. Diciamo che la maratona finisce al km 35. Se arrivo vivo fino a lì poi posso permettermi di rallentare anche di 20'' al km (in fondo 4'40'' al km li so gestire bene anche se sono in difficoltà) e siccome 7x20 fa 140 e aggiungendo 2 minuti e 20 a 3 ore e 3 fa comunque un tempone, metto l'arco dell'arrivo al km 35 e tanti saluti. Alleggerito di 7 km mi faccio portare dal vento e passo al 25° con un parziale che mi pare regolare (21'28'' a posteriori), anche grazie ad un lungo rettilineo con vento a favore.

Le gambe non sono più quelle del primo chilometro ma nemmeno la paletta è quella del km 1. La nota positiva è che ha smesso di piovere (non mi si chieda quando è cominciato).
Al chilometro 30 passo in 2.10 contro una previsione di 2.12. Tra 2 km comincia la parte oscura della gara, quella in cui ogni passo potrebbe essere l'ultimo compiuto in stato di benessere. Ma a me mancano 5 km, 22 minuti, un giro di lago, niente.

Niente come i ricordi di quel tratto. Potrei anche non averli corsi. Gli unici momenti di coscienza sono quelli in cui la strada cambia pendenza e richiede un lieve cambio di assetto di corsa. Quando abbiamo riattraversato il Meno? Che aspetto ha la zona in cui era posizionato il tappeto dei 35 km? Passo in 21'41'' e mi pare un buon parziale se non altro perché simile ai precedenti. Non ha nessun senso mettersi a fare conti adesso ma se è vero che mantengo ancora circa 2 minuti di vantaggio sul me stesso virtuale allora posso sperare di scendere sotto le 3 ore e 5', a spanne.
Non resta che correre.
Mancano ancora 2 + 5 km, che ovviamente sono meno di 7, almeno nella mia testa. Testa che recupera un minimo di lucidità verso il 37° km, quando, ad un rapido check, perviene alla centralina il messaggio che le estremità inferiori fanno male e che il ventre mediale del polpaccio destro ha qualcosa da ridire.

In un punto a me sconosciuto del tracciato cominciamo ad incrociare gruppi di maratoneti a densità minore rispetto a quello in cui viaggio io, segno che si tratta di gente forte. Ma quanto forte? Sono davanti o dietro i palloncini delle 2 ore e 59 minuti? Certo, alcuni hanno un passo più efficiente del mio, ma non sembrano sviluppare gran velocità. Allungo il collo per scorgere Pier ma il percorso curva e ci addentriamo in zone in cui la strada è riservata ad un unico senso di marcia. Quando anch'io giungo dall'altra parte sono passati ormai molti minuti e mi rendo conto del perché la velocità dei veloci non sembrava velocità da veloci: violente raffiche di vento spazzano la sede stradale frenando il passo e rendendo a tratti precario l'equilibrio. Affiora alla mente il Vento di Venezia un anno fa e la facilità con cui avevo affrontato la bufera del ponte della libertà e del ponte di zattere. Oggi non mi è così facile mantenere l'andatura.

Il BIP del km 40 mi regala un 21'52'', più lento degli altri ma più veloce del previsto. Ma questo lo dico adesso perché in quel momento ho solo registrato di essere a 2 ore 53' e 30'' di corsa. A questo punto i conti sono facili. 2195 metri vanno in 10' e quindi posso contare di stare sotto le 3 ore e 4'. Detto questo nulla è cambiato. Vento ce n'è, spingere al massimo spingo, le gambe continuano a fare male ed il polpaccio destro è lì che, nervoso, si fa un po' di elettrostimolazione autonoma, specie nelle curve a sinistra.

Se in maratona arrivi decentemente al km 40 quel numero ti conferisce la forza di credere che nulla ti possa ammazzare. Anche nelle maratone più sperdute negli ultimi 2 km c'è il pubblico che ti incoraggia e questo aiuta. Non mi sono mai sentito un super uomo a correre la maratona. Anzi, a vedere quanti mi arrivano davanti sono sempre costretto a ridimensionare l'immagine che ho di me come podista.
Solo dopo l'arrivo mi rendo conto di quanta ruggine la sofferenza della maratona abbia grattato via dal mio animo e solo lì, dopo la riga bianca sul tappeto blu, avverto la leggerezza di un corpo ed un cuore completamente svuotati.

Ai 42.100 mi aspetta Laura. Ne riconosco la voce all'ultimo momento. C'è sempre stata, sia durante la preparazione sia durante la gara. Rispetta e sopporta le mie lamentele sui tempi e sulle gambe, le mie fisse sull'andare a letto presto e le sveglie ad orari da turno in fabbrica. Preparare una maratona non è faticoso solo per chi la correrà. Ci vuole tanto amore. Ed io ce l'ho.

Questa maratona è dedicata a lei.

3 ore 03' 25'' secondo l'organizzazione, 3 ore 03' 23'' secondo il mio crono, un numero che io preferisco  di gran lunga, non solo perché ho la sindrome RT, ma anche perché è un tempo esattamente di 1 ora superiore al record del mondo stabilito a Berlino poche settimane fa. Come dire: kenioti, vi seguo a ruota!

lunedì 28 ottobre 2013

Maratona di Francoforte 2013

Si è chiuso ieri un ciclo cominciato 9 mesi fa, che ha compreso 6 settimane di stop per due infortuni e 14 settimane di allenamenti tra le 5.15 e le 7 del mattino. 14 settimane in cui non ho integrato la mia alimentazione con nulla, così come in gara non ho assunto altro che acqua ed un po' di te. Nessuna pippa dietetica nell'ultima settimana che non fosse evitare gli alcolici. In gara ho usato il crono solo per avere memoria futura dei passaggi e non per modulare l'andatura, bippando ogni 5k e dando una fugace occhiata ai numeri. I miei tempi di passaggio li avevo scritti sul dorso della mano sinistra. Dal km 37 in poi c'eravamo solo io ed il mal di gambe ma era dolore, non era stare male, che sono due cose diverse. Quel dolore fisico mi ha purificato da 8 mesi di difficoltà e lontananza dalla mia famiglia, dai cani randagi, dagli scarichi dei diesel, dalla polvere e dalle pozzanghere di Tirana, dalla voce rozza di chi pretende i numeri sul lavoro. In gara ho pensato solo alla gara, non credo mi sia mai passato altro per la testa. Un pianto nervoso al traguardo ha cancellato tutta la fatica e liberato in cuore, finalmente svuotato.
All'aeroporto, semidisteso sulle poltrone del gate A64, in attesa del volo delle 21.55 per Venezia, accanto a me la persona più importante della mia vita che mi ha seguito per tutto il percorso prima e durante questa maratona. Questa è vera pace, questa è vera gioia.