A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

martedì 21 maggio 2013

Morte di un nemico?

Il periodo trascorso è stato particolarmente sofferto dal punto di vista podistico. A 4 mesi esatti dal mio arrivo a Tirana, il bilancio atletico è decisamente negativo.
Ad una prima fase di scarso allenamento che mi ha portato a perdere il buono stato di forma raggiunto con la preparazione invernale per l'amatore (Albanesi) si è avvicendata una fase di faticosa ripresa. Nonostante un'influenza come non avevo da anni (dite quello che volte, ma io l'anno prossimo mi vaccinerò come ho sempre fatto, visto che il vaccino mi ha sempre protetto, in barba ai propugnatori del virus che muta e quindi vince sempre), sono riuscito a rimettermi ancora più faticosamente in careggiata. E' stato poi il momento di una gastroenterite, di quelle con 10-12 levate notturne, che mi ha riportato di nuovo un po' indietro durante la preparazione di un 10k. Nella prima metà aprile è divenuto evidente che quel 10k non l'avrei corso per problemi di lavoro. Nonostante la rinuncia alla gara, ho continuato nella preparazione, con le andature che man mano si facevano più allegre, finché, a distanza di 3 anni, si è ripresentata una vecchia amica: la sindrome della bandelletta ileo tibiale. Siccome la conosco bene mi sono fermato subito, sperando in uno sconto di pena. Già il giorno dopo lo stop stavo bene, ma ho atteso 10 giorni per rimettermi in strada, ma niente, dopo 3 km di nuovo dolore. Altri 10 giorni di stop mi hanno restituito una certa gioia di correre senza cronometro, ma dopo una settimana e mezza di corsette di piacere, oggi mi sono rivisto con il signor ritmo medio, che mi ha dato una sberla in faccia e fatto capire che è tutto da rifare. Il 10 giugno sarò a Fagagna, rimettendo il primo pettorale dopo Venezia, ottobre 2012, senza velleità. Se riuscissi a correre 14,5 km sarei già contentissimo, ma credo di fermarmi un pelo prima.
Finito il riassunto delle puntate precedenti, vorrei fare una riflessione. Il mio allenamento sul percorso della vergogna ha ormai provocato una specie di tregua con i residenti. Ormai i ragazzini mi salutano orgogliosi e gli adolescenti più o meno mi ignorano. L'unica vera battaglia ancora in pieno svolgimento era quella col Cane Vodafone. Il Cane Vodafone è uno dei tanti meticci di taglia medio-grande, dal pelo fulvo e dall'aspetto non particolarmente elegante che infestano le strade di questo civile paese. La caratteristica che gli ha fatto meritare il nome di Vodafone è che è stato vagamente adottato dai quelli del servizio vigilanza del vicino centro di telefonia mobile. Dico vagamente perché probabilmente da loro riceveva un pezzo di pane al mese, mentre il resto del rancio se lo sudava devastando i cassonetti della spazzatura nei dintorni. Ma per quel che mi riguarda era un cane davvero speciale: infatti gli stavo indiscutibilmente e perennemente sui coglioni. Davanti all'edificio Vodafone ogni giorno passano centinaia di persone, ma solo uno si meritava il suo inseguimento e il suo ghigno bavoso: io. Sarà il correre, saranno le magliette colorate, ma insomma, potevo passare anche dall'atro lato della strada, rasente alla siepe di olenadri, che questo bastardo non esitava ad attraversare la strada tutto inarcato per mirare ai miei polpacci.
All'inizio passavo silenzioso e camminando, ma poi ho cominciato a fermarmi di scatto e fingere di affrontarlo. Nulla è servito a farlo desistere. Negli ultimi tempi mi limitavo ad urlargli contro qualche insulto. Poi è diventata una questione di orgoglio. Ovviamente all'inizio evitavo di passare di lì due volte, magari facendo il giro della vergogna nei due sensi opposti, poi ho cominciato a girare nella stessa direzione, passandogli davanti anche 2-3 volte. Negli ultimi giorni avevo preso a passare anche tre volte davanti al suo sporco muso anche se la distanza da percorrere mi avrebbe permesso di passare una sola volta nel suo territorio.
L'ultima volta che l'ho visto erano le 4.30 del mattino, mentre andavo all'aeroporto. Nel buio della prima alba, gironzolava con un altro vagabondo, spensierato, immemore dei nostri inseguimenti.
Stamattina alle 6.30, al primo passaggio, il Cane Vodafone non mi ha attaccato. Nulla di strano, anzi, spesso lo trovavo alla fine del giro, vicino ad un cassonetto. Non gli passavo mai troppo vicino quando era lontano dalla Vodafone, ma nemmeno troppo lontano, visto che sapevo che "fuori casa" era meno suscettibile. In fondo io chiedevo solo una pacifica tregua. A me la strada, a te cassonetti e marciapiedi.
Poi, lungo il tratto peggiore del circuito della vergogna, quello di solito controvento, quello con una strada dalla banchina disastrata, intravedo una grossa sagoma adagiata sul ciglio. Mi avvicino. Un rivolo di sangue esce dalla sua bocca a sporcare quei dentoni di cui andava così orgoglioso. La pancia è già gonfia, ed il pelo sporco di acqua e cemento che qualcuno civilmente ha scaricato lungo il ciglio. La somiglianza è forte, ma lo stato di cadavere ha alterato alcune caratteristiche: non c'è più la fierezza del portamento, ed il pelo non è più arruffato ma attaccato al corpo, la coda non ha più il ciuffo fulvo, ma è attaccata al terreno. Potrebbe essere il Cane Vodafone. Non mi fa pena. Non mi fermo, probabilmente non emana un buon odore (non che da vivo fosse un esempio di igiene), ma dentro di me lo saluto: sei stato un fiero nemico, ti ho detestato, ma mai ho desiderato sinceramente la tua morte e, anche se ti ho chiamato merda, o mandato affanculo o insultato pesantemente tua mamma, non ho mai pensato che, avendone la possibilità, ti avrei ucciso. Avevamo raggiunto un equilibrio io e te, in quell'odioso modo di salutarci ogni mattina e adesso mi preoccupa chi prenderà il tuo posto. Non esiste un paradiso dei podisti perché il nostro ce l'abbiamo già qui, ma ti auguro di finire in quello dei postini. Ciao Vodafone.

PS: potrei anche essermi sbagliato, e quel cadavere è magari una burla da te ideata. Se così fosse, sappi che domattina ti odierò con più forza che mai e continuerò a passarti davanti finché tu non ti arrenderai. Io non mollo, bastardo.

giovedì 9 maggio 2013

La mia prima maratona

Ma ve la ricordate? Scommetto che tutti avete ben presente quello che avete vissuto, anche se sono passati anni. Ma l'emozione del racconto della prima maratona è sempre grande, e leggere quella dell'amico Francesco, bresciano, finisher a Trieste, mi ha fatto commuovere.

Eccolo qui, da leggere tutto d'un fiato, se la vista non si appanna costringendovi a fare qualche pausa!


Riflessioni di un (piccolo) maratoneta…

Chi mi conosce da qualche anno, sa che in me, un maratoneta, non è mai esistito.
Se sulla carta d’identità esistesse la voce “sport praticato”, sulla mia ci sarebbe stato 
scritto: “SOLLEVAMENTO FORCHETTA E BICCHIERE”.
Poi, un giorno di un paio di anni fa, per giocare una partita di calcio tra colleghi, decido
di fare un po’ di fiato facendo qualche giro di corsa a Campo Marte, un anello di 500 m
nel verde a pochi passi da casa.
Il primo giorno sono stati tre giri (con somma fatica)….oggi…sono ancora che giro per 
Campo Marte….
In due anni di acqua sotto i ponti ne è passata…e anche di asfalto sotto i piedi. 
All’inizio erano corsette in solitaria, l’obbiettivo era correre per almeno un’ora, e mi ci 
è voluto qualche mese per raggiungerlo. Poi la prima “garetta”, la Strabrescia, 
naturalmente non per competere, ma per arrivare a correre per 14km di seguito. 
Obbiettivo raggiunto…e che mal di gambe! Ma ormai la corsa è una passione, conosco
nuovi amici, macino chilometri, provo nuove emozioni.
Nel 2012 preparo la mia prima “mezza”: Cremona. Obbiettivo raggiunto e con un 
risultato migliore di quello che speravo. Cosa vuoi di più dalla vita French? La risposta 
vien da se: 
La Maratona.
42 km 195 m
La distanza che ti fa sentire davvero un Runner.
E allora via, a seguire le tabelle dei professionisti, a chiedere consigli agli amici più 
esperti, a cercare di capire il passo migliore che si può tenere e il tempo che si può 
sperare di fare, ma 4 mesi passano in fretta (con un piccolo infortunio nel mezzo) e in 
men che non si dica è già il 5 maggio e mi sveglio in un residence di Trieste: La 
Bavisela mi aspetta!
La sveglia è puntata alle 6.20, ma l’agitazione è tanta, troppa e alle 6 mi sto già 
preparando.
Infilo la divisa del Cus Brescia, faccio una colazione  leggera ma energetica e mi dirigo 
all’autobus che mi porterà alla partenza di Gradisca d’Isonzo, il paese dove è nata mia 
moglie.
Capirete da soli che questa era per forza la mia maratona…una gara che parte dal 
paese dove è nata Federica e termina nella città dove l’ho conosciuta…e che si corre 
due giorni prima del nostro undicesimo anniversario di “morosi”!
Vicino a me sul pullman c’è Alessio, uno dei miei nuovi amici della corsa, un veterano 
che ha già fatto otre 20 maratone e che mi accompagna, per l’occasione, nella mia 
avventura.
Alessio vede quanto sono agitato e mi parla per aiutarmi a passare il momento. Io 
rispondo, ma non chiedetemi cosa perché non me lo ricordo! Arriviamo a Gradisca e ci
prepariamo con calma, è presto, abbiamo molto tempo, facciamo due passi per il 
paese che ben conosco e mi guardo in giro a cercare qualche viso conosciuto, ma che 
non trovo. Arrivano le altre navette con i corridori, siamo in 750, non molti, ma la gara 
è piuttosto dura, non è “da tempo” (peccato nessuno me l’avesse detto prima di 
iscrivermi!). La piazza si riempie e in men che non si dica è già ora di entrare nelle 
griglie di partenza. E in un attimo tutte le mie emozioni si mescolano velocemente 
come un tornado: Mi sento battere sulla spalla e, girandomi, trovo Stefano, il cugino 
Runner di Federica (Runner per davvero), colui che, forse prima di tutti, mi ha fatto 
appassionare alla corsa e che è venuto in piazza apposta per salutarmi e farmi l’in 
bocca al lupo! Lo abbraccio forte e le sue parole mi confortano, ma non attenuano la 
mia agitazione.
Mi indica dove trovare mio suocero e mio cognato e corro a salutare anche loro, poi 
entro in griglia con Alessio. Lui è molto più forte di me, ma mi dice di scegliere la griglia che preferisco e mi segue. Continua a parlarmi e incitarmi, ma io continuo a 
non capire nulla di ciò che mi dice.
Otre la linea dello Start suonano i tamburi della banda, un elicottero ci sorvola facendo
riprese…e io continuo a non capire niente. Ho la pelle d’oca. Faccio respiri profondi.
Non sento neppure se viene dato il via o se c’è lo sparo di partenza, vedo le persone 
davanti a me che corrono…e allora corro anch’io!
Passo sotto l’arco della partenza e avvio il Garmin, alzo la testa e volgo lo sguardo al 
parco alla mia destra e dopo pochi metri ecco la sorpresa più bella: mia suocera 
Manuela e sua sorella Flavia han portato le mie bimbe a salutare il papà per la sua 
impresa! CHE BELLO!!!!!! 
Facciamo il giro della piazza e di una parte del paese e quando torniamo sulla strada 
che porta verso Trieste, so che potrei vedere ancora le bambine, così mi porto alla 
destra del gruppo…. ed eccole là!!! Manuela e Flavia mi scorgono e allungano il 
braccio di Carlotta e Matilde per farmele salutare e io mi avvicino per darle il “cinque”.
“Ciao Papino!!!!” mi dice Carlotta…sì, questo l’ho sentito bene!
Pochi metri più avanti incontro ancora Stefano, che mi incita come se potessi arrivare 
primo! Un “cinque” anche a lui e si parte per la corsa vera. Sono già sudato. Meno 
male, così non si vedono le lacrime di felicità che mi irrigano le guance.
Mi sento bene, so di non aver preparato alla perfezione la distanza per via 
dell’infortunio, ma so anche che posso arrivare tranquillamente in fondo e l’obbiettivo 
è quello. Passano i primi chilometri e l’agitazione pian piano passa. Scambio qualche 
parola con Ale e con i compari di merende intorno a me. Arrivo ai primi ristori e mi 
idrato a dovere: fa molto caldo, il sole picchia, ma non ci sono scuse. Trieste mi 
aspetta.
Seguo i Pacerunners delle 4 ore, il passo che hanno è buono, lo tengo con facilità ed è 
un gruppo numeroso, che serve per quando avrò crisi di testa (eh i consigli degli 
esperti!). 
Dopo qualche km arriviamo a Redipuglia, passiamo il Sacrario della Grande Guerra e 
inizia il falsopiano in discesa. In giro c’è tanta gente che ti incita e le mie gambe 
vanno, anche troppo, e mi lascio il gruppo delle 4 ore alle spalle. Verso Ronchi dei 
Legionari, altro paese storico, iniziamo a sentire una brezza sul viso, siamo tutti 
contenti, perché fa molto caldo.
Passiamo Monfalcone, dove troviamo anche i bambini fuori dalla chiesa che aspettano 
di fare la Prima Comunione che fanno il tifo per noi, sembra proprio la giornata 
perfetta.
Ci avviciniamo a Duino e qui cominciano le mie preoccupazioni: siamo quasi a metà 
della gara, ma qui iniziano una serie di salite di circa 5 km che non promettono nulla di
simpatico!
Ci arrivo, le vedo, le affronto. Faccio fatica, la brezza che prima faceva piacere sul viso
è diventata un vento che mi rallenta, maledetto! Km 19…20..21..21,097…sono a metà
parcorso…22…23…24…ecco, è l’ultima salita…là in fondo inizia la strada Costiera che 
scende fino a Trieste! Resisti French resisti…. Ce l’ho fatta! Le salita sono finite!
Arrivo al ristoro dei 25 km e decido di fermarmi per rifocillarmi e idratarmi un po’ di 
più perché ho speso molto in salita. Mentre bevo e mi bagno la testa guardo la 
discesa. Accidenti, certo che è proprio lunga! Riparto pian piano, ma mi accorgo subito
che le sensazioni non sono più le stesse. Le gambe non vanno come vorrei io.
Sono stanco…
…e adesso…
…come arrivo a Trieste…?
Piano piano, mi rispondo, un passo dopo l’altro.
Provo a rimettermi in carreggiata e riprendere il mio passo, ma la stanchezza non mi 
abbandona più e il vento continua a rallentarmi. Sento sempre più caldo.Vedo molti intorno a me che iniziano a camminare e inizio a pensare di poterlo fare 
anch’io, ma lotto contro la mia stessa testa e cerco di resistere.
Purtroppo, dopo alcune centinaia di metri, vince la mia testa…rallento…cammino…
Rifiato qualche decina di metri, poi riprendo la corsa, cerco almeno di correre 
lentamente , ma non è facile neppure così.Al ventisettesimo chilometro mi superano 
un paio di ragazzi, affaticati, ma che riescono ancora a parlare tra loro e sento che 
prevedono di essere raggiunti dai “palloncini” delle 4 ore verso il km 30. Arrivo allo 
spugnaggio e mi fermo a rinfrescarmi un po’, ne ho proprio bisogno.
Riparto: un po’ corro, un po’ cammino, un po’ corro, un po’ cammino.
I pensieri si sovrappongono e si intrecciano, faccio calcoli mentali assurdi su quanto 
manca e in quanto posso finire, ma riesco solo a confondermi da solo! Cerco di darmi 
dei piccoli obbiettivi da raggiungere, come gli spugnaggi e i ristori. Il prossimo è il 
ristoro dei 30 km, mi manca poco più di un km, posso farlo tutto correndo, non serve 
camminare, mi fermerò un po’ quando arrivo là. Vedo a distanza un cartello 
chilometrico, vai ci siamo!....mi avvicino…lo leggo bene… Km 29!!! Comeee!?!’?!? Ma 
dovrei essere al 30!!!! Controllo sul Garmin…ha ragione il cartello.
Delusissimo mi fermo e ricomincio a camminare. 
Sulla Costiera ci sono pochissime case, quindi anche il tifo scarseggia, ma i volontari 
sul percorso non lesinano parole di incitamento e conforto.
Mi faccio forza e riprendo a corricchiare (ormai la corsa è ben altra cosa).
Mi superano i palloncini delle 4 ore…e non sono ancora al km.30, decido di fermarmi a
fare pipì… La cosa che mi consola è che dal gruppo di 100/150 persone che eravamo 
all’inizio, ne sono rimaste 15/20 e i pacerunners da 4 sono passati a 2!
Arrivo al ristoro e chiedo acqua, mangio un paio di fette di limone, assumo le 
maltodestrine.
Mi giro e riprendo il percorso camminando un po’, mi guardo intorno e vedo 
un’ambulanza che chiude le portiere, fa inversione di marcia e parte con le sirene 
accese.
Cavolo c’è qualcuno che sta peggio di me! 
Decido di correre e quando vedo il cartello dei 30, mi rendo conto che oltre quel 
cartello avrò passato la distanza massima da me mai corsa.
La mia testa inizia a darmi ascolto un po’ di più e il mio corpo inizia ad adattarsi alla 
mia testa.
Entrambi accettano che un po’ camminare e un po’ correre va bene e così facciamo.
Corro da tre ore, ho tutto il diritto di essere stanco! (dice il mio corpo), ma la testa non
lo accetta e cerca mille scuse per quello che sta accedendo e vorrebbe andare più 
forte…o vorrebbe camminare…non lo so più.
Quando arrivo allo spugnaggio dei 32,5 vorrei immergermi nelle vasche, ma non mi 
sembra bello, mi rinfresco un bel po’ e poi riprendo. Cerco l’acqua come un ossesso, 
ma dopo essermi bagnato il vento che continua a soffiare controcorrente mi fa venire 
addirittura i brividi.
Riprendo la mia corsa tra i miei mille pensieri e le varie camminatine.
Inizio a riconoscere la sagoma del castello di Miramare, che vuol dire km 35.
Lì finisce la discesa e iniziano gli ultimi 7 km in piano, ma soprattutto, inizia il conto 
alla rovescia verso l’arrivo! Trovo il ristoro poco prima della fine della discesa e mi 
fermo solo il tempo di prendere acqua e limone, poi cammino qualche centinaio di 
metri mentre li consumo.
Riprendo a correre e mi sembra di andare un po’ meglio. Guardo l’orologio e mi rendo 
conto che se mantengo la concentrazione riuscirò a finire la gara in un tempo 
accettabile, ma c’è un imprevisto. I miei polpacci iniziano a muoversi in modo strano…
cosa succede? Sembra che facciano addirittura delle bolle… Hai!...Ecco, ci mancavano 
solo i crampi! Eh ma non mi fregate! Non mollo proprio adesso che il più è fatto! Mi fermo, mi appoggio ad un albero, faccio stretching, cammino un po’ e poi riparto. 
Ormai siamo un gruppo di persone, sparse in uno spazio di circa 500m che 
continuiamo a superarci a vicenda, a seconda di chi cammina prima o dopo, ma 
nessuno ha la forza di parlare con gli altri per tirarsi un po’ su di morale. I chilometri 
passano più velocemente di prima e quando arrivo all’ultimo spugnaggio mi sembra 
quasi facile rinfrescarmi e ripartire senza perdere troppo tempo. Ogni passo che faccio
mi rendo sempre più conto che ho rallentato più per stanchezza mentale che fisica. So
che poteva succedere, ma almeno non mi è mai passata per la testa l’idea di ritirarmi. 
L’obbiettivo di arrivare all’arrivo non è mai stato in discussione e già questo è un buon
risultato. Ormai mancano circa 4 km, sono a Trieste e in giro ricomincia ad esserci 
gente. E’ una manna dal cielo. Non sapete quanto è importante a questo punto vedere
ai bordi della strada persone che non ti conoscono che ti applaudono e ti spronano! 
Cerco di ringraziare tutti, almeno alzando una mano in segno di saluto o sforzando un 
sorriso per fargli capire che sono contento di vederli li! Il mio viso deve essere in uno 
stato pietoso…a un certo punto anche un Vigile in servizio mi sprona: “Dai, dai, che 
manca poco! Ormai ce l’hai fatta!”.
Cavolo è vero. Sono già dentro Trieste, manca pochissimo! Anche il mio corpo e la mia
testa sembrano accorgersene e hanno un sussulto d’orgoglio!
Passo il ponte della ferrovia e trovo il ristoro dei 40 km. E’ l’ultimo. Una bambina che 
potrebbe essere Carlotta si avvicina con una bottiglietta e mi dice “Acqua?”. La 
ringrazio e sfodero il sorriso più bello che posso. Anche qui non mi fermo e mi rifocillo 
camminando.
Guardo il Garmin. Rifletto. Se sono bravo riesco a finire addirittura in meno di quattro 
ore e un quarto. Forza French! Corri!!!! Le gambe funzionano di nuovo, la gente mi 
incita. Voglio arrivare in fondo senza più camminare! Se doso bene le ultime forze ce 
la posso fare!
Qualcuno mi sorpassa, ma pochi metri più avanti si ferma a camminare. Io non devo 
fare lo stesso errore.
Quando arrivo al piazzale della stazione ripenso al mattino quando ero lì a prendere il 
pullman per Gradisca…BRIVIDI!…ormai ce l’ho fatta! 
Ripenso a tutti gli allenamenti fatti con gli amici negli ultimi mesi e alla telefonata che 
mi hanno fatto la sera prima Simona, Cristina e Claudio per darmi la carica. Penso agli 
in bocca al lupo dei colleghi l’ultimo giorno di lavoro. 
Penso al tempo che ho rubato alla mia famiglia per allenarmi e nonostante questo 
Federica è lì al traguardo che mi aspetta per abbracciarmi! (grazie Amore)
Penso…penso…e di colpo realizzo che sono sulle rive…l’ultimo viale…e le mie gambe 
iniziano a correre come piace a me!
Intorno c’è tantissima gente che ci incita uno per uno ed è bellissimo! “Dai bravissimo!
L’arrivo è là in fondo ce l’hai fatta!” Addirittura riesco a superare altri partecipanti (e 
non pochi) e mi rendo conto che sono anche quelli della Mezza…mi sento quasi un 
figo!
Ed eccola là! Piazza Unità d’Italia! L’arrivo! La scorgo in mezzo ai palazzi storici di 
Trieste perché distinguo i tendoni del Centro Maratona. So che fatta la curva per 
entrare in piazza, dopo 30 metri c’è il traguardo: sono arrivato per davvero!
Supero ancora altri runners, mi raccolgo in una corsa decorosa (per quanto ormai 
possibile).
Quando arrivo all’imbocco della piazza c’è un baccano enorme! In piazza ci saranno 
5000 persone che parlano, urlano, tifano; c’è lo speaker che parla, non so cosa dice, 
sento solo un grande entusiasmo che mi coinvolge tantissimo.
I ragazzi dell’organizzazione mi indicano il settore dell’arrivo dedicato alla Maratona, 
mi infilo nella corsia e inizio a calpestare il tappeto Blu. Poi, 
nel marasma generale, distinguo qualcosa che mi colpisce, che Attira la mia 
attenzione…VAI FRANCESCOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Mi giro e Vedo Angela, Paolo, Alessio e Silvia che 
urlano come dei disgraziati il loro incitamento! Si arrampicano sulle transenne, mi 
salutano, mi spronano!
È un tuffo al cuore! Alzo le braccia verso di loro in segno di vittoria. Si, ho vinto, ce l’ho
fatta!
Federica non c’è, ma nella mia testa so che sarà nei pressi della linea del traguardo 
per cercare di farmi una foto! 
……
…..5…4…3…2…1….
……
… Spengo il Garmin ….
….4 h 11 min 48 sec….
Non sento più nulla intorno a me, solo il marasma ….
Appoggio le mani sulle ginocchia … respiro profondamente ….
….Chi sono?....dove sono?...cosa ci faccio qui?....
Una voce famigliare mi chiama quasi con paura di disturbarmi …”Fra?!”
Alzo la tesa e dietro le transenne vedo Federica. Mi sorride soddisfatta. La guardo un 
po’ svanito e il suo sguardo si fa un po’ preoccupato.
Mi avvicino a lei e gli occhi mi si gonfiano improvvisamente di un liquido salato …… 
anche gli occhi di Fede sono gonfi e rossi … non ci diciamo nulla, non serve.
Ci abbracciamo stretti sopra la transenna.
Sono veramente stanco, ma l’entusiasmo è maggiore! Vado a prendermi quella 
medaglia che mai come questa volta mi sono meritato, poi seguo il percorso e 
raggiungo Fede.
Ce l’ho fatta. 
Da oggi sono anch’io un (piccolo) maratoneta.