A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

mercoledì 27 ottobre 2010

The others

La maratona. Viverla. Anche stando dall'altra parte delle transenne. Per un giorno sono stato "il pubblico", "la gente". Non quelli che corrono, ma "gli altri". Alla fine ne avevo le palle piene. La giornata è iniziata alla 5.20 e sono riuscito ad entrare in casa, dopo aver recuperato Leo dalla nonna, alle 18.30. Ero stanco e nervoso. Stanco per il poco dormire. Nervoso per la giornata podisticamente improduttiva. Mi sentivo come un animale in gabbia, stretto tra il desiderio di stare con mio figlio, il bisogno, la necessità di mettere i piedi nelle wavw precision 11 e il timore di non saper vincere la paura di fare fatica.
La scorsa settimana è stata una settimana strana. IT200, attualmente la seduta che soffro di più. Sono sempre stato lento. Alle medie vincevo i 1200 o i 1600 solo perché ero l'unico che aveva voglia di soffrire, mentre sugli 80 metri le prendevo da tanti. E l'allenamento su distanze sempre sopra i 10.000 ha aggravato il difetto. Putroppo, dalle nostre parti, gare sotto i 7 km è difficile trovarne. Giovedì una corsa in progressione sui 10 km. Poi quasi più niente. Praticamente dimezzati i km settimanali rispetto alle 6 settimane precedenti. Fermo sabato e fermo domenica, mi sono fatto assalire dall'inquietudine, dal timore, infondato, di buttare via il lavoro fatto. E davanti avevo un medio di 1 ora che temevo particolarmente e che la volta precedente mi aveva fatto male. Col senno di poi è stato un bene che sia stato fermo due giorni dopo una CLR. Lunedì mi sono scagliato contro la bora con cattiveria e ho trasformato il medio in un test a ritmo gara.
Chi ha letto "A perdifiato" di Mauro Covacich sa cosa intende lui quando scrive "si sta andando". Dice che quando senti il vento sulla faccia, l'asfalto corre sotto di te, i moscerini che si appicicano al volto, vuol dire "che stai andando". Domenica, mentre ero sul treno, lungo il ponte della libertà, ho visto Migidio correre. Ho seguito un uomo correre a 3'10'' al km. Ho visto i piedi planare sull'asfalto e rimbalzare rimanendo indietro perchè intanto il bacino era già due metri avanti, ho visto quanto deve durare un appoggio e le mani afferrare l'aria e ad essa appigliarsi per aumentare la progressione in avanti. Ho visto la differenza tra correre e tapasciare, tra spingere e trascinare, tra "calpestare" e "sfiorare", tra celere e tardo. I miei piedi sono miccette umide, mi guardo correre e sembro seduto sul cesso, con le ginocchia che non avanzano, i piedi che si incollano alla strada, il culo basso e arretrato. Sembro Willy coyote quando i razzi sui pattini si accendono e il tronco resta indietro. Mi sono sentito un bambino di 5 anni, che scarabocchia casette su fogli di carta, in visita al museo di Van Gogh.
In riva degli schiavoni mi sono arrampicato alla ringhiera dell'ultimo ponte. Chi arrivava in cima vedeva il traguardo, per la prima volta dopo 42 km, lì, a 195 metri. Sono stato lì ad aspettare prima mio fratello, poi Max. E intanto un bravo a tutti e dai che è finita, dai che è fatta. Ragazzi non mollate, un cinque a tutte le mani sudate ed appicicaticce.
Tanti, tanti, in cima al ponte strizzavano forte gli occhi e il mento tremava e le labbra si stiravano in una linea che avrebbe voluto esplodere in un espirio e in un singhiozzo. E io avrei voluto dire loro di lasciarle andare quelle lacrime, di lasciarle uscire e lasciarsi bagnare le guance. Di sfogare la gioia di essere arrivati lì con le proprie forze. Che se la meritavano quell'emozione. Ma mi sentivo così vicino che la voce non mi usciva ma mi si chiudeva la gola e appannava la vista.
Che roba!
Io non le lascio mai andare quelle lacrime anche se il singhiozzetto mi è venuto dopo Vienna, con Leo in braccio e dopo la Traslaval, per il sollievo e il panorama stratosferico. Non lo so, forse la prossima volta ce la farò. Quando càpita a me, lo sento come uno sfogo un po' isterico e me ne vergogno, così me lo tengo dentro. Mi sentirei così patetico, eppure non giudico patetico chi si commuove al traguardo.
Però... qualche anno fa, al termine della sua prima maratona, Mauro è scoppiato in un pianto dirotto. Io, che forse non avevo mai corso più di un'ora, invece di starmene zitto, non capendo ciò che stava succedendo, gli ho chiesto "Cosa c'è? Sei stanco o sei felice?". E lui mi ha detto il numero minimo di parole che esprimesse compiutamente il concetto: "Tutte e due".
Distrutto ma felice. E' forse questa la miscela esplosiva che crea il vuoto nel torace e chiude la glottide e fa uscire dalla gola di ragazzoni sfigurati, allampanati signori di mezza età, donne inzuppate di sudore e pioggia, quel suono che ci riporta al primo secondo di vita, quando questa ci ha pervaso il corpo con la prima, dolorosa e stupenda, boccata d'aria.

domenica 10 ottobre 2010

Mamma mia


Avevo promesso ed ho mantenuto: niente maratone autunnali. E va bene così, perché ho il tempo per lavorare sulla velocità e su distanze più brevi come la mezza in cui il PB non si schioda dagli 87 minuti e rotti da un paio d'anni. E così, in mancanza di appuntamenti unici ed irripetibili come una maratona, ho dato la precedenza ai desideri di Laura impostando poi i lavori sulla base del suo piano ferie. Quest ultimo ci ha condotto a fine settembre in Tunisia per una settimana che avrebbe dovuto essere di relax ma che si è trasformata in una serie di veglie notturne e sonno frammentato a causa della puntualissima infezione dell'infante. Peraltro respiratoria e non intestinale come avrebbe lasciato presagire la sede della vacanza. Per fortuna avevamo un carretto di farmaci, tra i quali non era annoverato l'antibiotico "che da meno fotosensibilità". L'abbiamo trovato in farmacia a Mahdia in una strana preparazione che comprendeva anche olio di ricino. Povero Leo, ogni volta era conati di vomito. L'ho assaggiato anch'io e ho avuto la bocca al fiele fino al mattino dopo. E ovviamente ha provocato ugualmente l'eritema. Come a dire: 16 euro di amarezza e dermatite. Ma intanto gli ultimi due giorni se li è goduti.

Obbligatorio allenarsi al mattino perché poi la temperatura saliva considerevolmente. Andata in discesa col vento a favore, praticamente uno Sputnik, ritorno... una cagoia. Seduta peggiore: 1 ora di CM. Mi sono fatto male. L'ultimo giorno ho scoperto che la sera il vento girava e quindi la discesa aveva il vento contro ma la salita vento a favore. Maledizione, eppure l'avevo studiata quella cosa della brezza di terra e di mare.

Sicuramente non ha aiutato il bicchierino serale e quotidiano offerto dal pittoresco Maurizio che affermava essere preparato da estratto di "fica secca". Leo si è innamorato di lui e delle sue filastrocche "Mamma mia, mamma mia, com'è bella Tunisia". Ancora adesso quando vede il cammello di peluche lo chiama "Izio".

Il ritorno al fresco ha rimesso pepe alle gambe e per la prima volta ho avvicinato i 40' sui 10000 in un allenamento intervallato (400 poco sopra la soglia anaerobica + 400 di recupero alla velocità del medio fino a 10000 metri totali in 40'14''). Ha detto bene Matteo che i 10000 sotto i 40' sono virtualmente fatti, ma mi manca la gara per scrivere il risultato sul mio diario.

In ogni caso settimana proficua che spero mi porti già ad un buon livello per l'ora di Marinella il 7 novembre con gli altri 5 dell'American Gigolò (ma si può chiamare così una squadra di staffetta?). Capitano quel trinoriciuto di mio cognato Giuliano, calciatore ma con la punta del piede e l'unghia nera nel podismo.