A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

martedì 26 febbraio 2013

Simone Grassi

Non lo conoscevo personalmente, ma seguivo il suo blog e ho letto il suo libro. Nel libro il protagonista guarisce. Purtroppo la realtà è diversa.
Resta l'esempio di un uomo che ha lottato come un leone e per questo voglio ricordarlo.


http://www.simonegrassi.net/

martedì 19 febbraio 2013

Di influenze e di alleanze

Un mese fa, avessi vissuto giornate così, avrei avuto molto da raccontare. Adesso mi sembra di non avere molto da dire, quasi mi sia abituato al ritmo arrembante delle giornate a Tirana.

Mercoledì mattina scrivevo dall'aeroporto di Ljubljana la mia invettiva contro gli incul(c)atori (di idee) (quelli che sono fermamente convinti che tu la pensi così ma non si sa bene su quali basi. Però loro SANNO). Già in bar però vedevo un tunnel all'orizzonte e nella notte mi ci sono infilato di filato, riemergendone con una faccia minimamente guardabile solo domenica mattina. Certo, solo un'influenza, per la quale quest'anno non mi ero vaccinato, ma stavo male sempre. Un'ora brividi, un'ora sudare come un Austriaco obeso in sauna e tre ore di cefalea pervasiva, mialgie, nausea, tosse squassante e mal di gola e via altro giro altra corsa. In 4 notti ho sudato a tal punto da aver inzuppato 14 magliette (contate, non è un'iperbole), e da dover ruotare continuamente il piumone per non dormire tra le fredde coltri bagnate. E poi si parla di qualità di vita.
Oggi mi sembrava di poter correre. Fisso alle 14 la pausa pranzo, ma alle 13 mi avvisano che mi hanno piazzato una visita alle 15. Anticipo la pausa e scendo furtivo, ma mi beccano e mi dicono di una riunione alle 14.30... ce la posso ancora fare. Arrivo in stanza e la signora sta lavando il pavimento a secchiate. Non ho il coraggio di rovinarle il lavoro per quel volgare passatempo da checche che è la corsa. Mi arrendo e vado a pranzo. Alle due e mezza sfogo sugli Amministratori in videoconferenza una rabbia giustificata solo in parte dagli eventi clinici. A fine riunione mi trovo sommerso da scadenze marchettare che però ancora non mi fanno rimpiangere i casi sociali di Monfalcone e solo alle 19 penso di aver fatto il mio e mi concedo di fare il giro in reparto tra i malati.
Non dico sia routine, ma se non stai attento 'sta cosa ti fagocita.

Una notte d'estate, mi trovavo in un rifugio sopra Cave del Predil. Si festeggiava un amico, vittima predestinata ed amata della serata. Una giornata di cammino in alta montagna, il cibo, il vino, il fumo l'avevano reso poco disponibile ai nostri scherzi. Io sapevo come si sentiva, ma non mi andava di rovinare la festa agli altri suoi amici, anche perché tra l'altro non avrei saputo cosa fare. Lui ha fatto la cosa giusta. Ha preso la porta e se n'è uscito per un quarto d'ora da solo nell'aria gelida e tagliente come il vetro, sotto una via lattea che ti faceva barcollare qualsiasi senso di identità, solcata dalle stelle cadenti di inizio agosto. Quando è rientrato era nuovo. La serata è nuovamente decollata grazie alla sua capacità di prendersi in giro. Alla fine mi ha detto. Era ciò che avrei dovuto fargli intendere di aver capito, ma le parole le ha trovate lui: "Mi sentivo come un cane braccato".

Talvolta mi guardo intorno e mi chiedo di chi fidarmi. L'unico per il quale metterei la mano sul fuoco (e  che farebbe altrettanto), è Olti, ma non voglio farlo entrare in certe dinamiche "gestionali" ed interpersonali eminentemente lavorative.
La famiglia non mi manca solo in termini di calore umano, ma mi manca la possibilità di una franca discussione con qualcuno di cui mi possa fidare ciecamente, sul lavoro e fuori.
Ora capisco perché Olti mi ha voluto qui. Sa che quello che farebbe lui, lo sto facendo io. Mi servono alleati fedeli.

Intanto l'altra sera siamo andati a vedere una casa dove eventualmente sistemare la famiglia, se e quando sarà qui... non ho detto niente a Laura, conterei di farle una sorpresa. Sarà una bella sorpresa.

mercoledì 13 febbraio 2013

La via stretta

Nel conto tra i momenti tristi e quelli felici, cioè tra le partenze ed i ritorni, il massimo a cui si possa aspirare è un pareggio. Quello di oggi è il terzo distacco. Durerà 9 giorni, stavolta, la lontananza e si arriverà al primo mese di questa nuova esperienza per la mia famiglia.
Finora è stato più difficile di quanto avessi sperato (o mi ero illuso potesse essere), per tutti. Non certo il lavoro. Quello lo sapevo che mi avrebbe dato da fare.
Non è questo il luogo ed il momento per dichiarare le priorità nella mia vita, ma riconosco che la scelta fatta possa essere interpretata (e così è stato fatto) come una una inversione nell'ordine dei valori di famiglia e lavoro. Allora mi tocca spiegare perché non è così.
Una tale visione richiede che:
- Non si tenga conto di una scelta di vita e di famiglia progettata e iniziata quasi dieci anni fa (progettata, ho detto, non capitata, non iniziata per "una svista" o per mancanza di alternative, ma proprio voluta)
- Non si tenga conto che da sempre il lavoro per me è stato una necessità sulla quale, per scelta, ho investito per non morire di noia e frustrazione in quelle otto ore quotidiane
- La scelta fatta verrà riesaminata tre 8 mesi e, ammesso che le cose qui vadano bene, l'impossibilità di ricongiungermi con la mia famiglia in modo stabile costituirà criterio ostativo per la permanenza in Albania
-  Si ignori che preferirei di gran lunga starmene a casa con mia moglie ed i bambini (crescendo, però, questi ultimi con la convinzione che tra la via stretta e quella larga...)

Chi ritiene che la mia scelta dipenda dalla necessità di soddisfare una mia personale ambizione lo fa ignorando le mie caratteristiche più evidenti e tutte le mie scelte precedenti.
Prima di affrontare questa avventura mi sono interrogato spesso su cosa mi spingesse ad accettare la sfida. E le critiche, ovviamente riferite, mi hanno fatto riflettere ancora sulla vita che ci siamo scelti. Tra la mia prima partenza ed oggi ci sono state numerose sere in cui mi sono domandato se ciò che sto facendo sia giusto. Forse non è passato giorno in cui non abbia rimpianto la comodità di uscire di casa alle 7.30 e rientrare alle 16.30 e le ore passate in ospedale tra volti noti, procedure conosciute, sicurezze costruite in anni di lavoro.

Ma poi penso alla possibilità di far crescere i miei figli in ambiente internazionale, estranei agli insensati campanilismi che paralizzano la vita sociale e politica dalle nostre parti, liberi di scegliere una qualsiasi scuola superiore nel mondo, capaci di vedersi "persone", "uomini" e non friulani, gradiscani, concordiesi, italiani, albanesi, extracomunitari, omo- o eterosessuali, crisitiani, mussulmani, ortodossi.

Tanto per chiarire: ho scelto di condividere la mia vita con Laura e di avere con lei due figli per renderli felici ed essere felici, insieme. E l'unico fine di tutte le nostre scelte, come genitori, è la loro felicità.
Chi non capisce questo concetto può tornare alla sua poltrona, con le sue frustrazioni, i suoi alibi, il suo mondo "filtrato", le sue prediche, il suo concetto di vita (ormai dimostratosi irreparabilmente perdente), le sue infelicità che non riuscirà mai a scacciare, perché quando era giovane non ha avuto le possibilità e adesso che è vecchio non può più. E intanto la vita è passata e non resta che parlare.

Per il resto, liberi di dire: "Io non lo farei".

mercoledì 6 febbraio 2013

Leggere attentamente le avvertenze...

AVVERTENZA: questo è un post dall'elevatissimo tasso tecnico podistico. Non ci sono (quasi) note di colore che si riferiscano ad incontri fatti per la strada o battute sulla mia situazione psicologica secondaria ad una vita da frate francescano. Sconsiglio la lettura del presente post a chi misura la velocità in chilometri all'ora e non in minuti al chilometro.

Oggi, miracolosamente, alle 12.30 non ho un cazzo da fare (se escludiamo la necessità di cominciare a fare entrare l'idea dell'accreditamento istituzionale nella zucca degli infermieri, il problema dell'approvvigionamento del sangue nella struttura ed il reperimento di una unità di emodinamica di appoggio al nostro ospedale, tanto per citare tre priorità). E siccome è dai 20 km di domenica che non infilo le scarpette da running, diligentemente lavate dalla donna perfetta che "mi governa" la stanza ogni mattina e messe ad asciugare senza lacci sul termosifone, incerto me ne diparto per le strade albanesi con un'unica certezza: che dopo un LL (scriverei che si tratta di una seduta lunga lenta, ma il post lo leggono solo fanatici delle ripetute e dell'interval training, quindi eviterò di specificare) le gambe vanno risvegliate del torpore indotto dalla seduta precedente. La scelta cade su un allenamento che ormai sto imparando a conoscere: 20 x 1'+1'. Cioè ripetere per venti volte la seguente semplice sequenza: 1' forte,  1' piano. Che poi uno pensa che tutto sommato è una seduta facile, se non fosse che Albanesi (che coincidenza) specifica: piuttosto che velocizzare la parte veloce (che poi alla fine la si tira come cani) cercate di "sveltire" la parte lenta. Che non sia mai, iddiononvoglia, che uno arrivi lucido a fine allenamento. Il caso vuole che una seduta di questo tipo io la termini in circa 40-43 minuti a seconda delle caratteristiche del percorso. Ciò significa che allo scoccare delle 20 serie, il mio GPS segna dai 9,3 ai 10,1 km (in realtà solo una volta 10,1, in 4-5 allenamenti del genere) ed essendo io (come voi) masochista, non mi fermo alla ventesima ripetuta ma tiro avanti fino allo scoccare dei 10k. Mi scaldo con in solo giro della vergogna e stavolta accade che è l'ora in cui gli scolari scendono dagli autobus. Quanto meno ho regalato loro venti secondi di festa dopo una dura mattinata di scuola. Incontro anche Arsildo che mi sorride e mi saluta ormai come un amico. Imposto l'allenamento sul rettilineo di 2k che costeggia "l'autostrada" (un giorno parliamo delle virgolette). Andata (4 serie) in falsopiano a salire (1-2%?) con brezza contraria, ritorno uguale ma con pendenza e vento a favore. In totale fanno 12 serie a salire e 8 serie a scendere (a partire dalla parte opposta sarebbero 8 a salire e 12 a scendere, ma iddiononvoglia...). Tra salire e scendere (4 km) pago 5''al km circa sulla media dei 4', e arrivo ai 40' con 9,7 km sul  GPS, che vuol dire che mi attende un'ulteriore minuto forte, ma in discesa.  In "salita" andavo a 3'50''-4'30'' e in discesa 3'40''-4'15'', a occhio. Chiudo i 10k in 41'05'' con l'impressione di essere riuscito a spingere con i piedi per più tempo del solito, ma con indolenzimento ai bicipiti femorali più che ai polpacci.
Arrivato a questo punto dovrei trovare la voglia di impegnarmi in una tabella per preparare qualcosa, perché tutto sommato ho visto che il tempo per uscire 3-4 volte alla settimana lo si trova. Non un gran che (scritto giusto, ma accettato anche granché, ho controllato sul sito della crusca) certo, ma viste le aspettative prima della partenza, questo è paradiso. Di sicuro non una mezza, ma tanto per dire, mancano 12 settimane ai 5000 in pista a Gorizia (altre 4 settimane per finire la fase di potenziamento e aumentare la frequenza delle sedute fino a 4-5 fisse e 8 settimane per la preparazione specifica  della gara...) è che dovrei trovare una pista per abituarmi un po' al sintetico... questi sì che son problemi!

PS: il riscaldamento ha ripreso a funzionare!

domenica 3 febbraio 2013

Back to 20's

Stamattina il muezzin non mi sveglia. Sono troppo stanco. 'Sta scimmia dei libri di alpinismo non mi lascia in pace e vado a vanti a leggere sempre fino a oltre la mezzanotte e va a finire che una mattina gli occhi sono più pesanti del solito. Tanto per informazione, dopo "la morte sospesa" di Joe Simpson di qualche mese fa, "la scalata impossibile" di Jennifer Jordan mi ha catapultato sulle tracce delle epiche imprese sul K2, finendo in questi giorni in "No way down". Gli alpinisti ed i maratoneti hanno una cosa in comune: la scarsa comprensione da parte della moglie nei confronti della loro passione/ossessione. Solo che i primi rischiano la pelle molto di più dei secondi, soprattutto se si tratta di alpinismo d'alta quota.
Per tornare a stamattina, mi svegliano tuoni e grandine. Fuori dalla finestra tutto è grigio e neanche le galline si azzardano a mettere zampa nel prato sottostante. Penso che il suolo di Tirana sia foderato di gore-tex perché in un minuto si formano delle pozzanghere mondiali e più tardi vedo le galline tirare su i vermi con la canna da pesca.
Non soffro di meteoropatia, ma stamattina il mio umore era più grigio del cielo. Sono a metà di questo periodo di due settimane a Tirana e la prospettiva di lavorare per il settimo giorno consecutivo, e domani ricomincia la settimana, mi avvilisce. Ma c'è un caso delicato e devo essere lì. Dopo quattro ore in ospedale e la comparsa dei primi segni di schiarita mi avvio con poca voglia verso la "villa" e rimango 10 minuti sul cesso a leggere. Ma poi le parestesie ai piedi mi fanno mollare il colpo e finalmente mi cambio ed esco. Quarta uscita settimanale, anche se una andrebbe conteggiata come mezza (solo 6 km). Mi propongo di viaggiare a sensazione, soprattutto i primi 10 km, perché ormai conosco il percorso e le sue insidie. Le gambe rispondono bene e non spingo mai eccessivamente. In onore di Matteo e Mauro che oggi hanno corso la mezza di Preganziol a ritmo maratona, decido di correre un fondo lento in quarta marcia. Ne vengono fuori quasi 21 km a 4'32'', spingendo solo gli ultimi due km sul falsopiano che porta a Tirana e che sotto i 4'35'' mi fa gonfiare i quadricipiti che neanche squatting. Tutto sommato di questi tempi non è da sputarci sopra. Dopo vari mesi torno sopra ai 50 km in una settimana ma la forma è un concetto al momento astratto. Per fare 21 km mi sparo un triplo giro della vergogna con varianti fangose e ad ogni passaggio ricevo ciò che mi aspetto. Ma stavolta penso che anche i grandi atleti che vanno a prepararsi sugli altipiani devono subire gli sfottò dei ragazzetti del luogo. E così mi sento in buona compagnia e trotterello tra bar semideserti, "lavazh" aperti in cui lava la macchina solo il padrone ed un asino mezzo avvolto in un telo in plastica che mi fa pentire per l'ennesima volta di non essermi portato la macchina fotografica.

Lavaggio con acqua... il resto non lo capisco...

Strada di Kashar, Tirana. Questo spiega perché qui ci sono ancora i lustrascarpe.

Saluti dal paese delle contraddizioni.