A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

sabato 30 novembre 2013

Gita sociale

Non ricordo nemmeno a quando risaliva l'ultima "gita in pulman". Forse Roma allo sciopero degli specializzandi, nel 1800... che poi è l'unico mezzo di trasporto "su ruote" che non si associa all'ansia per la guida altrui.
Dopo 1 anno di digiuno dalle gare, a Francoforte mi sono ripromesso di sfruttare i rientri a casa per indossare un pettorale e per vedere le persone a cui tengo di più.
La prima occasione è la mezza di Padenghe sul Garda alla quale arrivo con un folto gruppo dell'Atletica Mottense capeggiato da Matteo, impeccabile organizzatore, le cui doti di capogruppo erano già evidenti nell'adolescenza.
Il gruppo è folkloristico e mantiene il termine "atletica" nel nome anche se dei 50 presenti solo 13 si cimenteranno nella gara di 21 chilometri. Degli altri, una parte parteciperà alle due non-competitive di contorno, l'altra farà da supporto logistico e nutrizionale (90 uova lesse, mortazza e salame a vagoni, svariate bozze di rosso e frizzantino...).
Sabato giornata infame. La pioggia non ha mai smesso di cadere. A Desenzano ci rifugiamo in un localino chic dove ci vengono serviti due calici di Franciacorta a 6.50 euro l'uno (esticazzi!). La sera, dopo la cena, si svolge il rituale, magistralmente presieduto da Pasquale e Matteo, della consegna dei pettorali. La sala si trasforma in una bisca clandestina quando si aprono le scommesse sui piazzamenti. Io vengo considerato anche se non facente parte della Società e dato, giustamente, al secondo posto. Alla vigilia dichiaro un 1.25 (finirò in 1.25.06, svizzero).
La mattina di domenica è coperto ma non piove. Allo sparo perdo subito di vista Michele, il cavallo più quotato (2.59 a Venezia 1 mese fa), e non lo rivedrò più. Chiuderà con più di 2 minuti di vantaggio. Divario incolmabile, adesso.
Fino al km 12 il percorso è scorrevole con molti tratti in discesa. Impossibile impostare un'andatura regolare, bisogna assecondare le gambe. Quando cominciano i falsopiani e gli strappi il gruppetto di cui faccio parte si sfalda. Qualcuno se ne va ma i più perdono terreno, segno che non sono stato il più incosciente. Tenere i 4 al km mi è impossibile e percorro il km più lento in 4'30''. Sto facendo una faticaccia che erano 18 mesi ma non mollo. Gli ultimi 2 km sono in discesa e, pur lasciando andare le gambe, non recupero posizioni. Chiudo in buona spinta, facilitato anche dalla lieve discesa, in 1.25.15'' ufficiale e solo allora mi accorgo che il terzo dell'Atletica Mottense mi arriva 40'' dietro. Immagino che se mi avesse riconosciuto, sarebbe stata una bella lotta. Matteo chiude con un bel 1.28, qualche secondo  oltre il PB, ma a mio parere il percorso penalizza di circa 1' rispetto ad una gara pianeggiante.
Il ritorno mi regala un pisolino in prima fila ed un paio di chicche da parte di un gruppetto che, in una fase di brain storming geografico, arriva a concludere che Rossano Calabro si trova vicino a Bari, in Sicilia.
1.25 è un buon punto di partenza per un anno di ritorno alle mezze con l'obiettivo dichiarato di avvicinare l'ora e 22 e zerozero, ma anche qualcosa in meno.
Lunedì è tempo di rientrare a Tirana. In aeroporto vengo informato con un sorriso che la compagnia aerea che mi doveva portare in Albania è fallita. Il viaggio è rimandato di 24 ore. Tutti gli amici a cui racconto il fatto reagiscono con incredulità e stupore. Solo uno reagisce con un sorriso amaro, e la cosa mi preoccupa: è lo Stewart Alitalia, Stefano di Milano che abbassa gli occhi e dice "Chissà quando toccherà anche a noi". A lui una menzione particolare. Per il solo fatto di essere in volo con due bambini ci ha trattati come se fossimo la famiglia Obama. Queste sono le persone che fanno bene alle Aziende Italiane, non i manager ladroni che, dopo aver lasciato un buco più grande di quello che hanno trovato, se ne vanno con una "buonuscita" milionaria ed un altro posto assicurato, mentre non sarebbero nemmeno in grado di organizzare un gita sociale.

venerdì 15 novembre 2013

887

Può essere ma anche no, che correva l'anno 1992. A 17 anni lavorare a 30 chilometri da casa mi permetteva di tornare al mio paese una due volte al mese.
Che da gennaio di quest'anno ad una distanza 40 volte superiore tornavo più spesso.
Autobus di linea ce n'erano pochi, a fine luglio, e quel giorno avevo perso quello buono. E per la prima volta ho provato a mettere fuori il pollice e vedere quello che succedeva. E non ci è voluto tanto che un Golf grigia si fermasse e tre giovani mi caricassero sul sedile posteriore. Certo, poteva andare meglio, ma tutto sommato anche peggio.
Quel viaggio mi è rimasto stampato nella mente. Un po' perché l'autista si credeva il re del Mugello, un po' perché, per non fare troppo la figura dello sfigato, trangugiavo birra da una bottiglia che continuavano a far girare e che gentilmente mi porgevano (e dai, Stè, passala). In quel viaggio non poteva mancare lo stereo a palla ed i finestrini abbassati. Dalle casse uscivano brani che non avevo mai sentito, ma che dovevano essere il tormentone dell'estate, soprattutto quella che diceva "non me la menare, non capisco cosa vuoi...". Timidamente sono riuscito a desumere trattarsi di un gruppo il cui nome era costituito da dei numeri che, a causa della necessità di organizzarmi per una telefonata da una cabina e dello sforzo per inventarmi un paio di balle per non far insospettire mia mamma circa il mio mezzo di trasporto, si sono irrimediabilmente cancellati dalla mia mente annebbiata.
Poi è arrivato agosto con le sue 330 ore di lavoro e le albe al mare, e la mia prima "nave scuola" (benedetta lei) e i sensi di colpa e i drammi di una fidanzatina tradita che quando sono tornato a casa stava già con un altro (giustamente) e tante cose.
A settembre nella mia testa erano rimasti gli 887, 4 in più del dovuto, ma per sempre sarebbero rimasti legati a quell'estate di nuova nascita, di nuove esperienze.
Da allora sono passate molte estati diverse, le "stagioni" al mare non erano più un periodo di isolamento perché gli amici avevano le macchine e la domenica qualche ora al mare la facevamo insieme. E c'era sempre Luca Flaborea che portava lo stereo con cinquanta batterie di riserva e un po' di 883 c'era sempre.
Ancora oggi, riascoltando la voce di Max Pezzali, il cuore torna a quelle estati, alla cumpa dell'oratorio, all'odore del forno delle pizze o della macchina del caffè, al vento umido della spiaggia di notte, al rumore della strada sotto l'appartamento di Bibione.
Ancora oggi su Grooveshark cerco gli album degli 883 e me li canto e dentro si muove qualcosa che, voglia o no, nessun altra musica muove nello stesso  modo.

Che anni , quegli anni


domenica 10 novembre 2013

Il post maratona

Parola d'ordine: no stress.
E così, assecondando la mia voglia di correre, pari a zero almeno nei primi 3 giorni, ho riposato per 6 giorni consecutivi, riprendendo solo la domenica successiva (8 giorni fa) giusto per approfittare di una bella giornata.
Il tempo a Tirana fino ad oggi è stato a dir poco settembrino, eccezionale anche a questa latitudine a novembre inoltrato, con necessità di un leggero intimo solo nelle ore precedenti il sorgere del sole (e solo perché io sono freddoloso), con cielo sereno e temperature ben oltre i 20 gradi per tutto l'arco della giornata. Inoltre lo spostamento d'orario permette di uscire prima delle 6 senza luce frontale e di intravvedere una debole luce attraverso le tapparelle all'ora della sveglia, elemento di non poco conto nella lotta tra bip-bip del telefonino e tepore delle coperte.
Domenica scorsa allora ho reinfilato le scarpe e mi sono rifatto vivo al lago con un giro in assoluta ignoranza di qualsiasi dato che non fosse di provenienza dagli arti inferiori. Nel risalire a casa ho sfruttato la salita per 6 sprint con precoce affaticamento e sereno rientro a casa. In totale 50 minuti di corsa con gambe indolenzite dall'inusuale e benefico sforzo. Lunedì ancora riposo e martedì 10 km in progressione senza forzare e quindi con buone sensazioni. Non c'è che dire, ho bisogno di risvegliare le gambe e l'amico maratoneta Piergiovanni, già 2 volte under 3hs, mi aiuta con un programma di ripresa dell'agilità che mercoledì prevede una decina di prove sui 300 metri con recupero identico in 90''. Non disponendo di percorsi misurati mi accontento di andare in 63-64 secondi e tornare come da programma. Con il susseguirsi delle prove la falcata si fa via via più appesantita e chiudo la sezion specifica della seduta dopo 28 minuti circa e 11 ripetizioni. Giovedì 15 k in scioltezza con buona media finale. Venerdì mi impigrisco a letto pur svegliandomi qualche minuto prima dell'ora stabilita ma penso che valga ancora la regola del "no stress".  La seduta passa a sabato mattina: dopo 7-8 km di fondo lento produco alcuni sprint in salita con efficienza migliore rispetto a 5 giorni prima. Mi fermo a 8, quando sento che la spinta viene a mancare alla fine dell'ascesa.
Tempo di fare colazione e sono di nuovo al lago con Leonardo per una "corsa" benefica a favore dei bambini di Tirana. La giornata è meravigliosa e si fatica a stare sotto il sole con la t-shirt regalata dall'Organizzazione. L'atmosfera è festosa, è una corsa per bambini e gli adulti accompagnano soltanto, ciò nonostante non mancano i booster ai polpacci di un papà ed un paio di personaggi che, agguerriti, si piazzano in prima fila pronti a scattare allo sparo.
Sono 5 km, non certo una corsa adatta ad un bambino di 4 anni come Leonardo. Cerco di spiegargli che dovremo camminare, soprattutto all'inizio, ma desisto subito: la corsa per lui è solo spontaneità, perché rovinarla con le mie raccomandazioni da vecchio? Dopo i primi metri un po' affollati riusciamo a trovare spazio e correre sotto i faggi e tra i passanti è una vera meraviglia. Nonostante le asperità Leonardo corre con regolarità per 2 chilometri poi ovviamente desiste. Gli altri 3 saranno all'insegna dei "perché?" e dei lamenti sul traguardo che non arriva... nulla di nuovo, quindi.
All'arrivo è una festa. Mamma e Cecilia ci aspettano per incitarci e tagliamo il traguardo in mezzo a tanti genitori e bambini accaldati. Leonardo si gusta i meritati "Boccòrn" (pop-corn) ed io una Coca fresca in un bar all'aperto. Appena recupero il cavetto della macchina fotografica scarico le foto del baby-runner.
Oggi si purga. 20 km con le salite sulle gambe sono, per me, una seduta fastidiosa. Riesco ad incrementare negli ultimi 5 chilometri ma è una faticaccia. So però che dal pomeriggio il tempo cambia e mi godo l'ultima seduta asciutta e tiepida. Chiudo a 4'34'' di media, non un granché per quello che doveva essere un progressivo, ma mi va bene.
Nel pomeriggio bambini a letto e divano sotto la copertina con Laura. Temporale fuori e caminetto dentro.
Chi sta meglio di me?
Buona settimana e buon autunno.

giovedì 31 ottobre 2013

Frankfurt marathon 2013, il racconto

Solo ora tolgo le scarpe dalla borsa in cui le ho riposte domenica pomeriggio. E nemmeno per correre, visto che stanotte ho tremato sotto le coperte in preda alla febbre ed ora me ne sto chiuso in casa con le mani fredde ed i brividi lungo la schiena. Febbre o no, oggi non avrei comunque corso perché i quadricipiti sono ancora lievemente indolenziti. La scarpa destra ha ancora i lacci sciolti fino quasi al primo incrocio, memore del chip con il logo BMW che è stato lì ospite per una notte e mezza giornata.
I ricordi sono ancora colorati di sensazioni, suoni e odori, insomma vivi, a testimoniare che ciò che ho vissuto è stato intenso, ma non per forza reale. Ci sono dei buchi nella mia memoria della gara di domenica. Lo dico pur consapevole del rischio di essere giudicato un vecchio smemorato. Per tre ore ho vissuto totalmente assorbito nel presente e la massima proiezione temporale di cui sono stato capace non andava oltre l'orario presunto di arrivo. E' stato come correre al buio con una pila frontale potente ma puntata verso il basso ad illuminare la strada per 3 metri: perfetta conoscenza degli elementi che in quel momento contano, totale estraneità ed indifferenza per tutto il resto. Pertanto restano soprattutto emozioni più che "avvenimenti" da raccontare ed anche quei pochi sono separati da zone oscure che, per quel che ne so, potrebbero essere stati vissuti da qualcun altro.

Sfioro il corpo caldo dei maratoneti che mi stanno accanto e davanti e dietro. Sto un po' meglio di prima. La temperatura non è male, saranno 14-15 gradi, ma c'è un vento fastidioso che ha reso penosa la prima parte dell'attesa in gabbia. Forse mi sono vestito troppo poco ed ho paura che avrò freddo. Lo speaker cerca di scaldare la folla ma i tedeschi sono come il vento che soffia da destra. Sessanta secondi dopo lo sparo transito sotto l'arco dello start. E' cominciata la mia ottava maratona.

Noi runner non (ancora) evoluti soffriamo di due sindromi: la sindrome RT e la sindrome del primo chilometro. La sindrome RT è caratterizzata dalla focalizzazione ossessiva delle nostre ambizioni sul real time, quasi che dichiarare quaranta secondi in più su una gara di oltre tre ore costituisca motivo di vergogna.
La sindrome del primo chilometro è definita dai seguenti tre criteri:
- ansia per ogni rallentamento che si possa verificare nei primi 1000 metri.
- terrore che al passaggio al km 1 le cifre del cronometro segnino anche 1'' in più del tempo deciso a tavolino ottenuto dall'integrazione di informazioni quali: velocità media dell'ultimo lunghissimo, peso corporeo dopo aver fatto pipì e cacca, temperatura, umidità e velocità del vento, pendenza della strada (calcolata al terzo decimale)
- attenzione eccessiva verso ogni minimo segnale proveniente da: piedi, gambe, vescica, retto (ecco, lo sapevo che dovevo fare pipì attraverso le transenne, sono 15 minuti che non la faccio ed ho già la vescica come un zampogna. Oppure: Maledizione, sapevo che ieri sera non dovevo mangiare la foglia di basilico che c'era nella pasta. Troppo fibre mi fanno sempre questo effetto).
Alla paletta del chilometro 1 passo in 4'25''. Il più è fatto.

BIP. Guardo il cronometro dopo 4 chilometri. 21'36''. Sul dorso della mano sinistra ho riportato dei numeri. Il primo è 22'. Sono in anticipo. Ok, adesso rilassati e rallenta un filo.
BIP. 21'38''. Un minuto avanti rispetto al preventivo. Ok, adesso rilassati e pensa alle gambe. Come stanno? Dunque, il lunghissimo di 36 km l'ho fatto a 4'29'' di media e l'ho finito cotto. Sono quasi 10'' più veloce e sto bene. Questo passo mi viene automatico. Che si fa? Rallento un po', dai.
BIP. 21'45''. Niente, non mi schiodo da quel ritmo. Per le mie gambe è una musica che si rifiutano di ignorare.
BIP. 21'39''. Potrei andare avanti così in eterno.
Passo alla mezza in 1.31.25''.

Le cose sono due: a) ho esagerato e me ne pentirò. b) sarà una gran giornata.

Mi viene una bella idea: per non rischiare, accorcio la maratona. Diciamo che la maratona finisce al km 35. Se arrivo vivo fino a lì poi posso permettermi di rallentare anche di 20'' al km (in fondo 4'40'' al km li so gestire bene anche se sono in difficoltà) e siccome 7x20 fa 140 e aggiungendo 2 minuti e 20 a 3 ore e 3 fa comunque un tempone, metto l'arco dell'arrivo al km 35 e tanti saluti. Alleggerito di 7 km mi faccio portare dal vento e passo al 25° con un parziale che mi pare regolare (21'28'' a posteriori), anche grazie ad un lungo rettilineo con vento a favore.

Le gambe non sono più quelle del primo chilometro ma nemmeno la paletta è quella del km 1. La nota positiva è che ha smesso di piovere (non mi si chieda quando è cominciato).
Al chilometro 30 passo in 2.10 contro una previsione di 2.12. Tra 2 km comincia la parte oscura della gara, quella in cui ogni passo potrebbe essere l'ultimo compiuto in stato di benessere. Ma a me mancano 5 km, 22 minuti, un giro di lago, niente.

Niente come i ricordi di quel tratto. Potrei anche non averli corsi. Gli unici momenti di coscienza sono quelli in cui la strada cambia pendenza e richiede un lieve cambio di assetto di corsa. Quando abbiamo riattraversato il Meno? Che aspetto ha la zona in cui era posizionato il tappeto dei 35 km? Passo in 21'41'' e mi pare un buon parziale se non altro perché simile ai precedenti. Non ha nessun senso mettersi a fare conti adesso ma se è vero che mantengo ancora circa 2 minuti di vantaggio sul me stesso virtuale allora posso sperare di scendere sotto le 3 ore e 5', a spanne.
Non resta che correre.
Mancano ancora 2 + 5 km, che ovviamente sono meno di 7, almeno nella mia testa. Testa che recupera un minimo di lucidità verso il 37° km, quando, ad un rapido check, perviene alla centralina il messaggio che le estremità inferiori fanno male e che il ventre mediale del polpaccio destro ha qualcosa da ridire.

In un punto a me sconosciuto del tracciato cominciamo ad incrociare gruppi di maratoneti a densità minore rispetto a quello in cui viaggio io, segno che si tratta di gente forte. Ma quanto forte? Sono davanti o dietro i palloncini delle 2 ore e 59 minuti? Certo, alcuni hanno un passo più efficiente del mio, ma non sembrano sviluppare gran velocità. Allungo il collo per scorgere Pier ma il percorso curva e ci addentriamo in zone in cui la strada è riservata ad un unico senso di marcia. Quando anch'io giungo dall'altra parte sono passati ormai molti minuti e mi rendo conto del perché la velocità dei veloci non sembrava velocità da veloci: violente raffiche di vento spazzano la sede stradale frenando il passo e rendendo a tratti precario l'equilibrio. Affiora alla mente il Vento di Venezia un anno fa e la facilità con cui avevo affrontato la bufera del ponte della libertà e del ponte di zattere. Oggi non mi è così facile mantenere l'andatura.

Il BIP del km 40 mi regala un 21'52'', più lento degli altri ma più veloce del previsto. Ma questo lo dico adesso perché in quel momento ho solo registrato di essere a 2 ore 53' e 30'' di corsa. A questo punto i conti sono facili. 2195 metri vanno in 10' e quindi posso contare di stare sotto le 3 ore e 4'. Detto questo nulla è cambiato. Vento ce n'è, spingere al massimo spingo, le gambe continuano a fare male ed il polpaccio destro è lì che, nervoso, si fa un po' di elettrostimolazione autonoma, specie nelle curve a sinistra.

Se in maratona arrivi decentemente al km 40 quel numero ti conferisce la forza di credere che nulla ti possa ammazzare. Anche nelle maratone più sperdute negli ultimi 2 km c'è il pubblico che ti incoraggia e questo aiuta. Non mi sono mai sentito un super uomo a correre la maratona. Anzi, a vedere quanti mi arrivano davanti sono sempre costretto a ridimensionare l'immagine che ho di me come podista.
Solo dopo l'arrivo mi rendo conto di quanta ruggine la sofferenza della maratona abbia grattato via dal mio animo e solo lì, dopo la riga bianca sul tappeto blu, avverto la leggerezza di un corpo ed un cuore completamente svuotati.

Ai 42.100 mi aspetta Laura. Ne riconosco la voce all'ultimo momento. C'è sempre stata, sia durante la preparazione sia durante la gara. Rispetta e sopporta le mie lamentele sui tempi e sulle gambe, le mie fisse sull'andare a letto presto e le sveglie ad orari da turno in fabbrica. Preparare una maratona non è faticoso solo per chi la correrà. Ci vuole tanto amore. Ed io ce l'ho.

Questa maratona è dedicata a lei.

3 ore 03' 25'' secondo l'organizzazione, 3 ore 03' 23'' secondo il mio crono, un numero che io preferisco  di gran lunga, non solo perché ho la sindrome RT, ma anche perché è un tempo esattamente di 1 ora superiore al record del mondo stabilito a Berlino poche settimane fa. Come dire: kenioti, vi seguo a ruota!

lunedì 28 ottobre 2013

Maratona di Francoforte 2013

Si è chiuso ieri un ciclo cominciato 9 mesi fa, che ha compreso 6 settimane di stop per due infortuni e 14 settimane di allenamenti tra le 5.15 e le 7 del mattino. 14 settimane in cui non ho integrato la mia alimentazione con nulla, così come in gara non ho assunto altro che acqua ed un po' di te. Nessuna pippa dietetica nell'ultima settimana che non fosse evitare gli alcolici. In gara ho usato il crono solo per avere memoria futura dei passaggi e non per modulare l'andatura, bippando ogni 5k e dando una fugace occhiata ai numeri. I miei tempi di passaggio li avevo scritti sul dorso della mano sinistra. Dal km 37 in poi c'eravamo solo io ed il mal di gambe ma era dolore, non era stare male, che sono due cose diverse. Quel dolore fisico mi ha purificato da 8 mesi di difficoltà e lontananza dalla mia famiglia, dai cani randagi, dagli scarichi dei diesel, dalla polvere e dalle pozzanghere di Tirana, dalla voce rozza di chi pretende i numeri sul lavoro. In gara ho pensato solo alla gara, non credo mi sia mai passato altro per la testa. Un pianto nervoso al traguardo ha cancellato tutta la fatica e liberato in cuore, finalmente svuotato.
All'aeroporto, semidisteso sulle poltrone del gate A64, in attesa del volo delle 21.55 per Venezia, accanto a me la persona più importante della mia vita che mi ha seguito per tutto il percorso prima e durante questa maratona. Questa è vera pace, questa è vera gioia.

lunedì 5 agosto 2013

Supercompensazione

A 6 settimane dalla ripresa dell'attività, le cose stanno più o meno così:
- Media di 5 uscite settimanali
- Soprattutto fondo lento, progressivi, salite
- Un test (3x5000 rec 3' da fermo) mi proietta ad un ritmo maratona di 4'30''-4'35''
- Corro la 5 miglia di Torviscosa senza cronometro, chiudendo a 3'56''/km
- 15 km a mezzogiorno l'ultima domenica di luglio con Mauro e Matteo. Belli caldi.
- Sabato scorso ulteriore test che conferma il ritmo gara impostato*

Difficoltà:
- Orario: impossibile correre decentemente dopo le 7.30 ma alle 5.30 il percorso è regno dei cani randagi
- Il circuito della vergogna mi sta venendo in odio
- Reggerò il chilometraggio? Qualche dolore all'inserzione tibiale del rotuleo destro

*anticipo la seduta al sabato perché domenica non si può.** Previsti 3x7000 a 4'10'', rec 1 km a 4'40''. Comincio il riscaldamento alle 5.16. L'aria è respirabile ma lo sanno anche i cani, che mi fanno festa. Primo 7000 in agilità, recupero 1 km in 4'35'' circa. Secondo 7000: il km 5 e 6 sono in falsopiano a salire e comincio a patire. Recupero un pelo più piano. Ultimo 7000: parto già in affanno e ai 5000 la chiudo lì, sfiancato. Media finale, compresi i recuperi: 4'18'' per un totale di 21 km in 1.30 e rotti. Sicuramente il test, per essere eseguito come si deve, richiede tenuta ai ritmi, cosa che io non ho (2 sedute a ritmo elevato nelle ultime 6 settimane, assolutamente insufficienti).
Alle 7.30 sono in doccia, alle 8.30 in macchina, alle 10 in aereo, alle 12 all'aperitivo dalla Cris, alle 17 in auto, alle 18.30 alla malga in Val Dogna.

**scaricare una seduta di 21 km  a ritmo arzillo in montagna... un bell'affare. Alle 6.30 puoi essere sicuro di non quasi incrociare nessuno sui sentieri e così mi concedo il torso nudo alla Kupricka. Peccato sia solo quello. Dopo circa 1 km di forestale facile comincia il sentiero che sale a tornanti stretti stretti. Nel bosco di faggi è un piacere ed è un bene che la via non sia moto battuta, così almeno ho la scusa per fermarmi a rifiatare. Mi fa male tutto e il fiato manca anche salendo a passetti di corsa. Invece di camminare provo a correre sempre, con brevi soste quando proprio le gambe sono infuocate. Salgo, sbaglio, risalgo, risbaglio. Due passaggi difficili di crepe rocciose nelle quali l'acqua non scorre. Mi aggrappo a tutto quello che trovo. Finalmente dopo 30', e 350 mt D+, spiana. Sbaglio ancora, poi provo in un'altra direzione. "Vado avanti ancora un po' poi torno indietro". In piano riesco piacevolmente a spingere sui 4'30''. Poi di nuovo nel bosco. In fondo c'è la luce di una radura: "arrivo fin lì, se non c'è il rifugio vorrà dire che l'han spostato". E invece il Grego è ancora lì. Mi concedo 5' sotto lo spettacolo del Montasio. Tra errori e fermate sono 44 minuti di corsa. 4 km.
Riparto. Sul sentiero sbagliato. Torno indietro. Stavolta è quello giusto. Sulla strada del ritorno sbaglio solo dove il sentiero è cancellato da una frana. Giù a destra, con la coda dell'occhio, qualcuno corre nella mia direzione. Mi fermo. Si ferma anche lui. Ci studiamo per un minuto. Magro, agile, elegante. Cerbiatto. Gli parlo e lui volta le orecchie nella mia direzione. E' attento. Alla fine riparto io e lui mi lascia indietro, mostrandomi il codino bianco. Alla fine sono 75'. Polpacci cotti dalla salita, quadricipiti dalla discesa. In un certo senso, comunque, ho scaricato.

Oggi fermo. Con la scusa della supercompensazione. Supercompenso un'ora in aereo, nonostante bambini urlanti e cani latranti (anche qui!).

Tornare a casa con Laura e i bambini è come un respiro profondo di aria buona, assaporo ogni istante con loro, anche le cose faticose, la schiena che fa male per far camminare Cecilia, i mille perché di Leonardo, il poco sonno, la storia della buonanotte con gli occhi che si chiudono, l'abbraccio di Laura a fine giornata, la mia vita. Supercompensazione, appunto.

Il rifugio Grego -la meta-

Malga pian dei spadovai -partenza e arrivo-

Il percorso da malga pian dei spadovai al rifugio Grego lungo il 651.

domenica 23 giugno 2013

Maratona? Che ridere!

Che fatica trovare lo stimolo di parlare di corsa quando non si corre... nonostante le tre settimane di stop a maggio, il dolore al ginocchio è ricomparso ed il 2 giugno sono rientrato dopo il riscaldamento perché la realtà era chiarissima: il problema al ginocchio non era risolto. Quello della bandelletta è un fastidio  insidioso, che non si fa sentire se non nella corsa. Quindi ci si fa prendere presto dall'ottimismo e si rischia di sottovalutare la recidiva dei sintomi anche in forma lieve.
In sostanza oggi  sono tornato a correre dopo altre 3 settimane di stop. Ho perso il conto di quante volte sono ripartito quest'anno, ma questa è sicuramente la condizione peggiore in cui mi sia trovato negli ultimi 3-4 anni. Dopo un quarto d'ora di corsa ho fatto 5 allunghi facili e la frequenza cardiaca mi è balzata a livelli di stadio terminale di un test di Conconi. E' evidente che ho perso anche la condizione aerobica, quella che bisogna impegnarsi per smarrirla.
E' così. Umilmente si ricomincia. Per il primo mese non voglio sapere niente di cronometri o ritmi. Si corre solo per mettere chilometri sulle gambe. Poi, se non mi faccio male, pensiamo a Francoforte.
Intanto da oggi si eliminano gli alcolici (tranne per le speciali occasioni in cui sono con Laura), i dolci e si limita il pane e la colazione. Inoltre si ricomincia a puntare la sveglia alle 6, in vista delle sedute lunghe al mattino che richiedono levatacce ben peggiori. Mi conosco, e so che mi servono almeno tre settimane per abituarmi al cambio sveglia.
Qui a Tirana le occasioni conviviali non mancano. Per un periodo non mi facevo mai mancare la Moretti a cena e sono andato a caccia di un buon Negroni per qualche serata. Inoltre il pesce è a buon mercato ma muore in bocca se non scende insieme ad un buon bianco. Niente eccessi, ma costanza.
Questo fine settimana sono rimasto qui, e la domenica è sempre un po' malinconica. Mi ero accordato con due persone per un'escursione sul monte dietro Tirana, ma ieri sera si sono tirati indietro. Odio sentirmi dipendente dagli altri e così mi sono comunque organizzato. Il trekking non è un'attività che pratico e avevo solo una vaga idea di dove fosse questo famoso monte Dajti. Fin dall'inizio è naufragata l'idea di attaccarlo dalla base, visto che tutti quelli con cui sono riuscito a parlare stamattina (in verità pochi, visto che erano le 8 di domenica ed erano ancora tutti a letto) mi hanno detto che il monte si può salire solo in auto (?). Va detto che la propensione dell'albanese medio alle escursioni in montagna è pari alla mia propensione alla frequenza dei concerti di Gigi D'Alessio e quindi non mi stupiva il fatto che tutti mi guardassero come si guarda un demente. A quel punto ho scelto di salire in teleferica fino agli alberghi (quota circa 1200 mt) e poi cercare il sentiero per la cima (1600 mt). La ricerca è durata ben due ore e mezza. Nessun segnale nel fitto bosco di faggi  che impediva qualsiasi visione della cima. La passeggiata è stata comunque molto piacevole, con la scoperta di alcuni scorci mozzafiato. Verso le 12 finalmente imbocco la strada giusta ed in 1 ora salgo i 400 metri che mi dividono dal cocuzzolo che da giù sembra essere il più alto. Che bello! In cima è installata un'enorme antenna alimentata da un generatore diesel che rovina tutta la poesia. Ridiscendo di una trentina di metri e mi siedo su alcune enormi rocce affioranti che si scorgono anche dall'ospedale a quasi 20 km di distanza. Mi godo il sole, telefono a mia moglie al mare a 1200 chilometri di distanza. Sento Matteo via SMS che definisce la Aviano Piancavallo "duretta" mentre io mi sono ammazzato a salire 400 metri camminando. Discendo con calma, sbagliando di nuovo strada (ma stavolta è solo colpa mia).
Al ristorante "balcone del Dajt" mi riempio ancora gli occhi del panorama della città sotto di me e la bocca di agnello alla griglia, insalata, patate al rosmarino e acqua naturale (totale 10 euri, eh eh eh). Ma quanto ci sarebbe stata bene una birra media fresca!
Per oggi quindi metto sulle gambe circa 3 chilometri di corsa (!) e quasi 4 ore e mezza di passeggiata. Che per cominciare non sarebbe male, ma a parlare di maratona di viene da ridere.

martedì 21 maggio 2013

Morte di un nemico?

Il periodo trascorso è stato particolarmente sofferto dal punto di vista podistico. A 4 mesi esatti dal mio arrivo a Tirana, il bilancio atletico è decisamente negativo.
Ad una prima fase di scarso allenamento che mi ha portato a perdere il buono stato di forma raggiunto con la preparazione invernale per l'amatore (Albanesi) si è avvicendata una fase di faticosa ripresa. Nonostante un'influenza come non avevo da anni (dite quello che volte, ma io l'anno prossimo mi vaccinerò come ho sempre fatto, visto che il vaccino mi ha sempre protetto, in barba ai propugnatori del virus che muta e quindi vince sempre), sono riuscito a rimettermi ancora più faticosamente in careggiata. E' stato poi il momento di una gastroenterite, di quelle con 10-12 levate notturne, che mi ha riportato di nuovo un po' indietro durante la preparazione di un 10k. Nella prima metà aprile è divenuto evidente che quel 10k non l'avrei corso per problemi di lavoro. Nonostante la rinuncia alla gara, ho continuato nella preparazione, con le andature che man mano si facevano più allegre, finché, a distanza di 3 anni, si è ripresentata una vecchia amica: la sindrome della bandelletta ileo tibiale. Siccome la conosco bene mi sono fermato subito, sperando in uno sconto di pena. Già il giorno dopo lo stop stavo bene, ma ho atteso 10 giorni per rimettermi in strada, ma niente, dopo 3 km di nuovo dolore. Altri 10 giorni di stop mi hanno restituito una certa gioia di correre senza cronometro, ma dopo una settimana e mezza di corsette di piacere, oggi mi sono rivisto con il signor ritmo medio, che mi ha dato una sberla in faccia e fatto capire che è tutto da rifare. Il 10 giugno sarò a Fagagna, rimettendo il primo pettorale dopo Venezia, ottobre 2012, senza velleità. Se riuscissi a correre 14,5 km sarei già contentissimo, ma credo di fermarmi un pelo prima.
Finito il riassunto delle puntate precedenti, vorrei fare una riflessione. Il mio allenamento sul percorso della vergogna ha ormai provocato una specie di tregua con i residenti. Ormai i ragazzini mi salutano orgogliosi e gli adolescenti più o meno mi ignorano. L'unica vera battaglia ancora in pieno svolgimento era quella col Cane Vodafone. Il Cane Vodafone è uno dei tanti meticci di taglia medio-grande, dal pelo fulvo e dall'aspetto non particolarmente elegante che infestano le strade di questo civile paese. La caratteristica che gli ha fatto meritare il nome di Vodafone è che è stato vagamente adottato dai quelli del servizio vigilanza del vicino centro di telefonia mobile. Dico vagamente perché probabilmente da loro riceveva un pezzo di pane al mese, mentre il resto del rancio se lo sudava devastando i cassonetti della spazzatura nei dintorni. Ma per quel che mi riguarda era un cane davvero speciale: infatti gli stavo indiscutibilmente e perennemente sui coglioni. Davanti all'edificio Vodafone ogni giorno passano centinaia di persone, ma solo uno si meritava il suo inseguimento e il suo ghigno bavoso: io. Sarà il correre, saranno le magliette colorate, ma insomma, potevo passare anche dall'atro lato della strada, rasente alla siepe di olenadri, che questo bastardo non esitava ad attraversare la strada tutto inarcato per mirare ai miei polpacci.
All'inizio passavo silenzioso e camminando, ma poi ho cominciato a fermarmi di scatto e fingere di affrontarlo. Nulla è servito a farlo desistere. Negli ultimi tempi mi limitavo ad urlargli contro qualche insulto. Poi è diventata una questione di orgoglio. Ovviamente all'inizio evitavo di passare di lì due volte, magari facendo il giro della vergogna nei due sensi opposti, poi ho cominciato a girare nella stessa direzione, passandogli davanti anche 2-3 volte. Negli ultimi giorni avevo preso a passare anche tre volte davanti al suo sporco muso anche se la distanza da percorrere mi avrebbe permesso di passare una sola volta nel suo territorio.
L'ultima volta che l'ho visto erano le 4.30 del mattino, mentre andavo all'aeroporto. Nel buio della prima alba, gironzolava con un altro vagabondo, spensierato, immemore dei nostri inseguimenti.
Stamattina alle 6.30, al primo passaggio, il Cane Vodafone non mi ha attaccato. Nulla di strano, anzi, spesso lo trovavo alla fine del giro, vicino ad un cassonetto. Non gli passavo mai troppo vicino quando era lontano dalla Vodafone, ma nemmeno troppo lontano, visto che sapevo che "fuori casa" era meno suscettibile. In fondo io chiedevo solo una pacifica tregua. A me la strada, a te cassonetti e marciapiedi.
Poi, lungo il tratto peggiore del circuito della vergogna, quello di solito controvento, quello con una strada dalla banchina disastrata, intravedo una grossa sagoma adagiata sul ciglio. Mi avvicino. Un rivolo di sangue esce dalla sua bocca a sporcare quei dentoni di cui andava così orgoglioso. La pancia è già gonfia, ed il pelo sporco di acqua e cemento che qualcuno civilmente ha scaricato lungo il ciglio. La somiglianza è forte, ma lo stato di cadavere ha alterato alcune caratteristiche: non c'è più la fierezza del portamento, ed il pelo non è più arruffato ma attaccato al corpo, la coda non ha più il ciuffo fulvo, ma è attaccata al terreno. Potrebbe essere il Cane Vodafone. Non mi fa pena. Non mi fermo, probabilmente non emana un buon odore (non che da vivo fosse un esempio di igiene), ma dentro di me lo saluto: sei stato un fiero nemico, ti ho detestato, ma mai ho desiderato sinceramente la tua morte e, anche se ti ho chiamato merda, o mandato affanculo o insultato pesantemente tua mamma, non ho mai pensato che, avendone la possibilità, ti avrei ucciso. Avevamo raggiunto un equilibrio io e te, in quell'odioso modo di salutarci ogni mattina e adesso mi preoccupa chi prenderà il tuo posto. Non esiste un paradiso dei podisti perché il nostro ce l'abbiamo già qui, ma ti auguro di finire in quello dei postini. Ciao Vodafone.

PS: potrei anche essermi sbagliato, e quel cadavere è magari una burla da te ideata. Se così fosse, sappi che domattina ti odierò con più forza che mai e continuerò a passarti davanti finché tu non ti arrenderai. Io non mollo, bastardo.

giovedì 9 maggio 2013

La mia prima maratona

Ma ve la ricordate? Scommetto che tutti avete ben presente quello che avete vissuto, anche se sono passati anni. Ma l'emozione del racconto della prima maratona è sempre grande, e leggere quella dell'amico Francesco, bresciano, finisher a Trieste, mi ha fatto commuovere.

Eccolo qui, da leggere tutto d'un fiato, se la vista non si appanna costringendovi a fare qualche pausa!


Riflessioni di un (piccolo) maratoneta…

Chi mi conosce da qualche anno, sa che in me, un maratoneta, non è mai esistito.
Se sulla carta d’identità esistesse la voce “sport praticato”, sulla mia ci sarebbe stato 
scritto: “SOLLEVAMENTO FORCHETTA E BICCHIERE”.
Poi, un giorno di un paio di anni fa, per giocare una partita di calcio tra colleghi, decido
di fare un po’ di fiato facendo qualche giro di corsa a Campo Marte, un anello di 500 m
nel verde a pochi passi da casa.
Il primo giorno sono stati tre giri (con somma fatica)….oggi…sono ancora che giro per 
Campo Marte….
In due anni di acqua sotto i ponti ne è passata…e anche di asfalto sotto i piedi. 
All’inizio erano corsette in solitaria, l’obbiettivo era correre per almeno un’ora, e mi ci 
è voluto qualche mese per raggiungerlo. Poi la prima “garetta”, la Strabrescia, 
naturalmente non per competere, ma per arrivare a correre per 14km di seguito. 
Obbiettivo raggiunto…e che mal di gambe! Ma ormai la corsa è una passione, conosco
nuovi amici, macino chilometri, provo nuove emozioni.
Nel 2012 preparo la mia prima “mezza”: Cremona. Obbiettivo raggiunto e con un 
risultato migliore di quello che speravo. Cosa vuoi di più dalla vita French? La risposta 
vien da se: 
La Maratona.
42 km 195 m
La distanza che ti fa sentire davvero un Runner.
E allora via, a seguire le tabelle dei professionisti, a chiedere consigli agli amici più 
esperti, a cercare di capire il passo migliore che si può tenere e il tempo che si può 
sperare di fare, ma 4 mesi passano in fretta (con un piccolo infortunio nel mezzo) e in 
men che non si dica è già il 5 maggio e mi sveglio in un residence di Trieste: La 
Bavisela mi aspetta!
La sveglia è puntata alle 6.20, ma l’agitazione è tanta, troppa e alle 6 mi sto già 
preparando.
Infilo la divisa del Cus Brescia, faccio una colazione  leggera ma energetica e mi dirigo 
all’autobus che mi porterà alla partenza di Gradisca d’Isonzo, il paese dove è nata mia 
moglie.
Capirete da soli che questa era per forza la mia maratona…una gara che parte dal 
paese dove è nata Federica e termina nella città dove l’ho conosciuta…e che si corre 
due giorni prima del nostro undicesimo anniversario di “morosi”!
Vicino a me sul pullman c’è Alessio, uno dei miei nuovi amici della corsa, un veterano 
che ha già fatto otre 20 maratone e che mi accompagna, per l’occasione, nella mia 
avventura.
Alessio vede quanto sono agitato e mi parla per aiutarmi a passare il momento. Io 
rispondo, ma non chiedetemi cosa perché non me lo ricordo! Arriviamo a Gradisca e ci
prepariamo con calma, è presto, abbiamo molto tempo, facciamo due passi per il 
paese che ben conosco e mi guardo in giro a cercare qualche viso conosciuto, ma che 
non trovo. Arrivano le altre navette con i corridori, siamo in 750, non molti, ma la gara 
è piuttosto dura, non è “da tempo” (peccato nessuno me l’avesse detto prima di 
iscrivermi!). La piazza si riempie e in men che non si dica è già ora di entrare nelle 
griglie di partenza. E in un attimo tutte le mie emozioni si mescolano velocemente 
come un tornado: Mi sento battere sulla spalla e, girandomi, trovo Stefano, il cugino 
Runner di Federica (Runner per davvero), colui che, forse prima di tutti, mi ha fatto 
appassionare alla corsa e che è venuto in piazza apposta per salutarmi e farmi l’in 
bocca al lupo! Lo abbraccio forte e le sue parole mi confortano, ma non attenuano la 
mia agitazione.
Mi indica dove trovare mio suocero e mio cognato e corro a salutare anche loro, poi 
entro in griglia con Alessio. Lui è molto più forte di me, ma mi dice di scegliere la griglia che preferisco e mi segue. Continua a parlarmi e incitarmi, ma io continuo a 
non capire nulla di ciò che mi dice.
Otre la linea dello Start suonano i tamburi della banda, un elicottero ci sorvola facendo
riprese…e io continuo a non capire niente. Ho la pelle d’oca. Faccio respiri profondi.
Non sento neppure se viene dato il via o se c’è lo sparo di partenza, vedo le persone 
davanti a me che corrono…e allora corro anch’io!
Passo sotto l’arco della partenza e avvio il Garmin, alzo la testa e volgo lo sguardo al 
parco alla mia destra e dopo pochi metri ecco la sorpresa più bella: mia suocera 
Manuela e sua sorella Flavia han portato le mie bimbe a salutare il papà per la sua 
impresa! CHE BELLO!!!!!! 
Facciamo il giro della piazza e di una parte del paese e quando torniamo sulla strada 
che porta verso Trieste, so che potrei vedere ancora le bambine, così mi porto alla 
destra del gruppo…. ed eccole là!!! Manuela e Flavia mi scorgono e allungano il 
braccio di Carlotta e Matilde per farmele salutare e io mi avvicino per darle il “cinque”.
“Ciao Papino!!!!” mi dice Carlotta…sì, questo l’ho sentito bene!
Pochi metri più avanti incontro ancora Stefano, che mi incita come se potessi arrivare 
primo! Un “cinque” anche a lui e si parte per la corsa vera. Sono già sudato. Meno 
male, così non si vedono le lacrime di felicità che mi irrigano le guance.
Mi sento bene, so di non aver preparato alla perfezione la distanza per via 
dell’infortunio, ma so anche che posso arrivare tranquillamente in fondo e l’obbiettivo 
è quello. Passano i primi chilometri e l’agitazione pian piano passa. Scambio qualche 
parola con Ale e con i compari di merende intorno a me. Arrivo ai primi ristori e mi 
idrato a dovere: fa molto caldo, il sole picchia, ma non ci sono scuse. Trieste mi 
aspetta.
Seguo i Pacerunners delle 4 ore, il passo che hanno è buono, lo tengo con facilità ed è 
un gruppo numeroso, che serve per quando avrò crisi di testa (eh i consigli degli 
esperti!). 
Dopo qualche km arriviamo a Redipuglia, passiamo il Sacrario della Grande Guerra e 
inizia il falsopiano in discesa. In giro c’è tanta gente che ti incita e le mie gambe 
vanno, anche troppo, e mi lascio il gruppo delle 4 ore alle spalle. Verso Ronchi dei 
Legionari, altro paese storico, iniziamo a sentire una brezza sul viso, siamo tutti 
contenti, perché fa molto caldo.
Passiamo Monfalcone, dove troviamo anche i bambini fuori dalla chiesa che aspettano 
di fare la Prima Comunione che fanno il tifo per noi, sembra proprio la giornata 
perfetta.
Ci avviciniamo a Duino e qui cominciano le mie preoccupazioni: siamo quasi a metà 
della gara, ma qui iniziano una serie di salite di circa 5 km che non promettono nulla di
simpatico!
Ci arrivo, le vedo, le affronto. Faccio fatica, la brezza che prima faceva piacere sul viso
è diventata un vento che mi rallenta, maledetto! Km 19…20..21..21,097…sono a metà
parcorso…22…23…24…ecco, è l’ultima salita…là in fondo inizia la strada Costiera che 
scende fino a Trieste! Resisti French resisti…. Ce l’ho fatta! Le salita sono finite!
Arrivo al ristoro dei 25 km e decido di fermarmi per rifocillarmi e idratarmi un po’ di 
più perché ho speso molto in salita. Mentre bevo e mi bagno la testa guardo la 
discesa. Accidenti, certo che è proprio lunga! Riparto pian piano, ma mi accorgo subito
che le sensazioni non sono più le stesse. Le gambe non vanno come vorrei io.
Sono stanco…
…e adesso…
…come arrivo a Trieste…?
Piano piano, mi rispondo, un passo dopo l’altro.
Provo a rimettermi in carreggiata e riprendere il mio passo, ma la stanchezza non mi 
abbandona più e il vento continua a rallentarmi. Sento sempre più caldo.Vedo molti intorno a me che iniziano a camminare e inizio a pensare di poterlo fare 
anch’io, ma lotto contro la mia stessa testa e cerco di resistere.
Purtroppo, dopo alcune centinaia di metri, vince la mia testa…rallento…cammino…
Rifiato qualche decina di metri, poi riprendo la corsa, cerco almeno di correre 
lentamente , ma non è facile neppure così.Al ventisettesimo chilometro mi superano 
un paio di ragazzi, affaticati, ma che riescono ancora a parlare tra loro e sento che 
prevedono di essere raggiunti dai “palloncini” delle 4 ore verso il km 30. Arrivo allo 
spugnaggio e mi fermo a rinfrescarmi un po’, ne ho proprio bisogno.
Riparto: un po’ corro, un po’ cammino, un po’ corro, un po’ cammino.
I pensieri si sovrappongono e si intrecciano, faccio calcoli mentali assurdi su quanto 
manca e in quanto posso finire, ma riesco solo a confondermi da solo! Cerco di darmi 
dei piccoli obbiettivi da raggiungere, come gli spugnaggi e i ristori. Il prossimo è il 
ristoro dei 30 km, mi manca poco più di un km, posso farlo tutto correndo, non serve 
camminare, mi fermerò un po’ quando arrivo là. Vedo a distanza un cartello 
chilometrico, vai ci siamo!....mi avvicino…lo leggo bene… Km 29!!! Comeee!?!’?!? Ma 
dovrei essere al 30!!!! Controllo sul Garmin…ha ragione il cartello.
Delusissimo mi fermo e ricomincio a camminare. 
Sulla Costiera ci sono pochissime case, quindi anche il tifo scarseggia, ma i volontari 
sul percorso non lesinano parole di incitamento e conforto.
Mi faccio forza e riprendo a corricchiare (ormai la corsa è ben altra cosa).
Mi superano i palloncini delle 4 ore…e non sono ancora al km.30, decido di fermarmi a
fare pipì… La cosa che mi consola è che dal gruppo di 100/150 persone che eravamo 
all’inizio, ne sono rimaste 15/20 e i pacerunners da 4 sono passati a 2!
Arrivo al ristoro e chiedo acqua, mangio un paio di fette di limone, assumo le 
maltodestrine.
Mi giro e riprendo il percorso camminando un po’, mi guardo intorno e vedo 
un’ambulanza che chiude le portiere, fa inversione di marcia e parte con le sirene 
accese.
Cavolo c’è qualcuno che sta peggio di me! 
Decido di correre e quando vedo il cartello dei 30, mi rendo conto che oltre quel 
cartello avrò passato la distanza massima da me mai corsa.
La mia testa inizia a darmi ascolto un po’ di più e il mio corpo inizia ad adattarsi alla 
mia testa.
Entrambi accettano che un po’ camminare e un po’ correre va bene e così facciamo.
Corro da tre ore, ho tutto il diritto di essere stanco! (dice il mio corpo), ma la testa non
lo accetta e cerca mille scuse per quello che sta accedendo e vorrebbe andare più 
forte…o vorrebbe camminare…non lo so più.
Quando arrivo allo spugnaggio dei 32,5 vorrei immergermi nelle vasche, ma non mi 
sembra bello, mi rinfresco un bel po’ e poi riprendo. Cerco l’acqua come un ossesso, 
ma dopo essermi bagnato il vento che continua a soffiare controcorrente mi fa venire 
addirittura i brividi.
Riprendo la mia corsa tra i miei mille pensieri e le varie camminatine.
Inizio a riconoscere la sagoma del castello di Miramare, che vuol dire km 35.
Lì finisce la discesa e iniziano gli ultimi 7 km in piano, ma soprattutto, inizia il conto 
alla rovescia verso l’arrivo! Trovo il ristoro poco prima della fine della discesa e mi 
fermo solo il tempo di prendere acqua e limone, poi cammino qualche centinaio di 
metri mentre li consumo.
Riprendo a correre e mi sembra di andare un po’ meglio. Guardo l’orologio e mi rendo 
conto che se mantengo la concentrazione riuscirò a finire la gara in un tempo 
accettabile, ma c’è un imprevisto. I miei polpacci iniziano a muoversi in modo strano…
cosa succede? Sembra che facciano addirittura delle bolle… Hai!...Ecco, ci mancavano 
solo i crampi! Eh ma non mi fregate! Non mollo proprio adesso che il più è fatto! Mi fermo, mi appoggio ad un albero, faccio stretching, cammino un po’ e poi riparto. 
Ormai siamo un gruppo di persone, sparse in uno spazio di circa 500m che 
continuiamo a superarci a vicenda, a seconda di chi cammina prima o dopo, ma 
nessuno ha la forza di parlare con gli altri per tirarsi un po’ su di morale. I chilometri 
passano più velocemente di prima e quando arrivo all’ultimo spugnaggio mi sembra 
quasi facile rinfrescarmi e ripartire senza perdere troppo tempo. Ogni passo che faccio
mi rendo sempre più conto che ho rallentato più per stanchezza mentale che fisica. So
che poteva succedere, ma almeno non mi è mai passata per la testa l’idea di ritirarmi. 
L’obbiettivo di arrivare all’arrivo non è mai stato in discussione e già questo è un buon
risultato. Ormai mancano circa 4 km, sono a Trieste e in giro ricomincia ad esserci 
gente. E’ una manna dal cielo. Non sapete quanto è importante a questo punto vedere
ai bordi della strada persone che non ti conoscono che ti applaudono e ti spronano! 
Cerco di ringraziare tutti, almeno alzando una mano in segno di saluto o sforzando un 
sorriso per fargli capire che sono contento di vederli li! Il mio viso deve essere in uno 
stato pietoso…a un certo punto anche un Vigile in servizio mi sprona: “Dai, dai, che 
manca poco! Ormai ce l’hai fatta!”.
Cavolo è vero. Sono già dentro Trieste, manca pochissimo! Anche il mio corpo e la mia
testa sembrano accorgersene e hanno un sussulto d’orgoglio!
Passo il ponte della ferrovia e trovo il ristoro dei 40 km. E’ l’ultimo. Una bambina che 
potrebbe essere Carlotta si avvicina con una bottiglietta e mi dice “Acqua?”. La 
ringrazio e sfodero il sorriso più bello che posso. Anche qui non mi fermo e mi rifocillo 
camminando.
Guardo il Garmin. Rifletto. Se sono bravo riesco a finire addirittura in meno di quattro 
ore e un quarto. Forza French! Corri!!!! Le gambe funzionano di nuovo, la gente mi 
incita. Voglio arrivare in fondo senza più camminare! Se doso bene le ultime forze ce 
la posso fare!
Qualcuno mi sorpassa, ma pochi metri più avanti si ferma a camminare. Io non devo 
fare lo stesso errore.
Quando arrivo al piazzale della stazione ripenso al mattino quando ero lì a prendere il 
pullman per Gradisca…BRIVIDI!…ormai ce l’ho fatta! 
Ripenso a tutti gli allenamenti fatti con gli amici negli ultimi mesi e alla telefonata che 
mi hanno fatto la sera prima Simona, Cristina e Claudio per darmi la carica. Penso agli 
in bocca al lupo dei colleghi l’ultimo giorno di lavoro. 
Penso al tempo che ho rubato alla mia famiglia per allenarmi e nonostante questo 
Federica è lì al traguardo che mi aspetta per abbracciarmi! (grazie Amore)
Penso…penso…e di colpo realizzo che sono sulle rive…l’ultimo viale…e le mie gambe 
iniziano a correre come piace a me!
Intorno c’è tantissima gente che ci incita uno per uno ed è bellissimo! “Dai bravissimo!
L’arrivo è là in fondo ce l’hai fatta!” Addirittura riesco a superare altri partecipanti (e 
non pochi) e mi rendo conto che sono anche quelli della Mezza…mi sento quasi un 
figo!
Ed eccola là! Piazza Unità d’Italia! L’arrivo! La scorgo in mezzo ai palazzi storici di 
Trieste perché distinguo i tendoni del Centro Maratona. So che fatta la curva per 
entrare in piazza, dopo 30 metri c’è il traguardo: sono arrivato per davvero!
Supero ancora altri runners, mi raccolgo in una corsa decorosa (per quanto ormai 
possibile).
Quando arrivo all’imbocco della piazza c’è un baccano enorme! In piazza ci saranno 
5000 persone che parlano, urlano, tifano; c’è lo speaker che parla, non so cosa dice, 
sento solo un grande entusiasmo che mi coinvolge tantissimo.
I ragazzi dell’organizzazione mi indicano il settore dell’arrivo dedicato alla Maratona, 
mi infilo nella corsia e inizio a calpestare il tappeto Blu. Poi, 
nel marasma generale, distinguo qualcosa che mi colpisce, che Attira la mia 
attenzione…VAI FRANCESCOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Mi giro e Vedo Angela, Paolo, Alessio e Silvia che 
urlano come dei disgraziati il loro incitamento! Si arrampicano sulle transenne, mi 
salutano, mi spronano!
È un tuffo al cuore! Alzo le braccia verso di loro in segno di vittoria. Si, ho vinto, ce l’ho
fatta!
Federica non c’è, ma nella mia testa so che sarà nei pressi della linea del traguardo 
per cercare di farmi una foto! 
……
…..5…4…3…2…1….
……
… Spengo il Garmin ….
….4 h 11 min 48 sec….
Non sento più nulla intorno a me, solo il marasma ….
Appoggio le mani sulle ginocchia … respiro profondamente ….
….Chi sono?....dove sono?...cosa ci faccio qui?....
Una voce famigliare mi chiama quasi con paura di disturbarmi …”Fra?!”
Alzo la tesa e dietro le transenne vedo Federica. Mi sorride soddisfatta. La guardo un 
po’ svanito e il suo sguardo si fa un po’ preoccupato.
Mi avvicino a lei e gli occhi mi si gonfiano improvvisamente di un liquido salato …… 
anche gli occhi di Fede sono gonfi e rossi … non ci diciamo nulla, non serve.
Ci abbracciamo stretti sopra la transenna.
Sono veramente stanco, ma l’entusiasmo è maggiore! Vado a prendermi quella 
medaglia che mai come questa volta mi sono meritato, poi seguo il percorso e 
raggiungo Fede.
Ce l’ho fatta. 
Da oggi sono anch’io un (piccolo) maratoneta.

martedì 2 aprile 2013

Vademecum del padre presente

Non credo serva saper "fare di conto" per accorgersi che da quando lavoro qui passo meno ore nella stessa casa dei  miei figli. Ho però il sospetto che, a voler essere pignoli, le ore passate assieme a loro non siano molto meno numerose di prima. Quello che invece è sicuro è che il tempo in cui sono in Italia è quasi totalmente dedicato a loro. Certo, è molto più facile dedicarsi al maggiore, ma anche la piccolina ha la sua parte.

Per i futuri papà (ma anche no) ecco allora un elenco di cose da fare assolutamente con un figlio di 4 anni, che lo vediate ogni giorno o ogni 10:

1- Abbracciarlo stretto almeno 60'' consecutivi, e mollare la presa solo quando strilla che ha il moccolo oppure assume un colorito bluastro.

2- Ogni tanto portarlo al McDonald o in qualsiasi altro posto su misura per lui. Gli spinaci ed i cetrioli dell'orto li mangerà la sera. Per lui due ore di un papà a proprio uso esclusivo hanno un valore inestimabile. Soprattutto se si può fare confusione a tavola e mangiare insieme con le mani.

3- Regalagli dei bei sogni: dopo averlo accompagnato a letto e avergli letto le varie ipotesi sull'estinzione dei dinosauri, dedicagli due minuti ad illustrargli le cose belle che farete insieme domani (omettendo magari che, nonostante tu gli voglia un bene dell'anima, hai anche un estremo bisogno che si addormenti, visto che nell'altra camera c'è tua moglie che non "vedi" da 2 settimane.).

4- Permettigli di fare qualche capriccio in risposta alle tue imposizioni. Da te si aspetta di essere guidato, che tu sia forte e coerente. Ma lodalo per le sue piccole-grandi conquiste quotidiane (sei stato bravissimo a mettere giù subito il mattarello con cui volevi colpire tua sorella di 11 mesi, piccolo parassita dell'amore dei tuoi esclusivi genitori.).

5- Spiegagli con pazienza che avere la barba è una gran rottura di palle e che il fatto di essere pelato non è frutto della scelta di "aver un taglio di capelli veloc" (testuali parole), ma che presto sarà anche lui così: asseconda la fase illusoria in cui essere come il papà è la massima aspirazione.

6- In alcuni momenti "abbassati" alla sua altezza. Ballare con lui l'harlem shake lo diverte molto, anche se saggiamente predilige "Welcome to the jungle" o i Kiss.

7- Portalo a correre nel fango, lascia che si sdrai a terra anche se l'erba è bagnata. E' un bambino. Farebbe bene anche a te qualche volta (ecco spiegato perché ogni anno torni a fare i cross dopo che ogni volta precedente hai detto "mai più").

8- Impara ad entrare nel suo mondo. Non sta male perché sei lontano, sta male perché è convinto che sia per causa sua che tu te ne sei andato. Non stancarti mai di dirgli che non è vero. Anche se sembra che ti guardi come si guarda una persona scarsamente intelligente.

9- Spiegagli le cose. Il più delle volte se ne starà in silenzio, salvo poi tornarsene fuori con il discorso debitamente rielaborato e perfettamente contestualizzato due settimane dopo. 

10- Prendersi una serata per coltivare il rapporto con tua moglie non è un atto egoistico ma un atto d'amore anche nei confronti di tuo figlio. Un rapporto saldo trai genitori non è solo una sicurezza per lui, ma anche immagine su cui si fonderà la sua idea di amore. 

Sintetizzando il punto 9 ed il 10:
"Perché stasera andate a fare i morosi?"
Papà: "Perché la mamma ed il papà sono innamorati e hanno voglia di stare insieme qualche ora a parlare e a dirsi che si vogliono bene"
"Anch'io voglio essere innamorato"
Mamma: "Sbaglio o in classe c'è una bambina che si chiama Gloria con cui ti piace giocare?"
"No, no..."
Papà (sottovoce ma saccente): "Ma lascialo in pace con ste storie delle morose, voi donne dovete sempre tormentare i bambini. Lo sai che è una cosa imbarazzante anche alla loro età..."

Due settimane dopo:
"Papà, io come faccio se non mi sposo?"
"Quando sarai innamorato di una persona ti potrai sposare"
"Allora io voglio sposare la mamma" (vecchia storia...)
"La mamma è già sposata con me"
"Allora sposo la mamma di Emanuele..."
"Non puoi, lei è già innamorata del papà di Emanuele"
"Allora mi sposo la Sabrina"
"Non puoi, Sabrina è già sposata con Matteo"
(piagnucolando) "Allora io con chi mi sposo?"
"..." (silenzio imbarazzato, non volendo citare l'ormai famosa Gloria).

Un mese dopo:
"Papà..."
"eh..."
"Ho pensato. La Gloria è la mia morosa. Sono innamorato."
Ecco.

venerdì 22 marzo 2013

I miei sosia

Ecco i miei sosia, con l'autore della scoperta:


Edi Rama, secondo un bambino oggi al parco

Enzo Miccio, secondo mio Figlio Leonardo

Pepe Guardiola, secondo un mio paziente, ottimista
Mio marito quando era giovane, secondo una mia vecchia paziente, fortemente miope

Uno sconosciuto, secondo me
Eh dai, scherzo...

mercoledì 20 marzo 2013

Giornata albanese del podismo

Oggi lo è stata almeno per me.
Stamattina si è consumata l'ultima seduta del periodo di test prima di intraprendere le 6 settimane di preparazione per i 10k di Oderzo che si correranno il Primo maggio. Rimango fermo sui 3'55''/km come ritmo gara e va bene così. Seguo involontariamente il consiglio di PGF nel post precedente: corro a sensazione visto che ho lasciato a casa il cavo di ricarica del GPS. Stamattina 18k di fondo lento, a sensazione, appunto.
Esco alle 6.35 e mi immetto con calma sul circuito della vergogna. Dopo 1,5 km di corsa blanda mi metto a ritmo e ho la prima allucinazione: due ragazzini in tuta nera corrono nel senso contrario. E non lo fanno per 30 metri, per scimmiottarmi. Continuano. Sono sveglio o sono ancora a letto e questo è un sogno? Non faccio in tempo a rispondermi che noto in lontananza tre tute colorate che corrono nella mia stessa direzione. Sono altri 3 ragazzini. Si voltano ripetutamente a controllare la distanza che ci separa e quando li raggiungo svoltano in un viottolo che ha l'aria di essere la via di casa.
A questo punto mi chiedo se non sia mia la colpa, che esco a correre ad orario inusuali per gli albanesi (di solito passo di qui tre le sette e le otto del mattino o nel pomeriggio tra le 2 e le 4) o se davvero il mio insistere su queste strade non stia ispirando qualche mal riposto senso di emulazione. Certo è che, a giudicare dal passo, non erano certo podisti abituali. Mi ha fatto grande piacere.
Al secondo giro poi, quasi mezz'ora dopo, ho incrociato alcuni dei miei fan preferiti che ormai mi salutano a gran voce (uno di loro il buon Arsildo). Al terzo giro, verso le 8, purtroppo è l'ora degli adolescenti che vanno verso la scuola e lì sono davvero risate e urla. Oggi non ho resistito e mi sono girato a guardarli. Se ne sono accorti ma non ne è scaturito nulla. Quindi uscita mattutina perfetta se non fosse per questi merli e per un attacco da parte di un altro cane, spuntato da chissà dove, che mi ha fatto prendere un colpo. Anche stavolta ho solo sentito il suo alito caldo sul polpaccio e nulla più, ma è la seconda volta in 10 giorni e ormai, quando li vedo in lontananza, poveri randagi, cerco di girare al largo.
Stasera poi ho scoperto che il 21 ottobre 2012 si è corsa la prima Maratona E Tiranes, con vittoria, manco a dirlo, keniota e 3000 partecipanti. Per la cronaca: il record albanese sui 10 k è poco sotto i 30', sulla mezza è di 1.10 e sulla maratona 2.25. Forse un paio di lettori potrebbero aspirare a divenire campioni nazionali qui, ma prima bisogna prendere la cittadinanza!
Nel 2013 si correrà il 20 ottobre, una settimana prima della maratona di Francoforte. Vuoi vedere che la mezza a ritmo gara me la faccio con un pettorale?
La pagina facebook dell'International-Marathon-of-Tirana-2012
La pagina ufficiale e la classifica non sono disponibili.

martedì 12 marzo 2013

Parku 1 km -reprise-

Alla prova dei fatti non era come me lo aspettavo. Ma un po' me la sentivo. Il meme che corrisponde alla frase "1 km" nel cervello di un podista si può esplicare così: tratto di strada di mille metri la cui misurazione deve avere un margine di errore entro i 3 metri, pena la perdita del titolo di chilometro e retrocessione allo stato di 998,5 metri o 1001,5 metri.
Ma la mente di un architetto, se un parco misura 950 metri, vuoi che lo chiami "parco quasi 1 km" o "circa 1 km" oppure "parco 950 metri"? No, lo chiamerà sempre parco 1 km, prendendosi gioco dei fragili sentimenti di noi podisti.
La sensazione è che si tratti di 970 metri di puro cemento a dorso di mulo, assolutamente adatti a prove ripetute. Sforzandosi un po' si riesce ad allungare di quei 30 metri che fanno combaciare sensazioni e cronometro. Per dirla in breve, 3'27'' al km alla prima prova mi sembra oggettivamente fuori dalla mia portata in questo momento, anche in una serie di 5x1000 con 1000 di recupero a ritmo del fondo lento. Allungando in testa ed in coda il crono riportava 3'40''. In termini allenanti quei 30 metri non contano nulla, ma in termini di test sono importanti. Considerato il vento alle spalle-laterale per una parte del tracciato, i conti tornano: sui 10.000 tra 7 settimane potrei valere 3'55'' al km, che comunque fa 39'10'', 15'' sopra il mio PB, ottenuto nell'unico 10.000 corso e, tutto sommato, cannato. Non nascondo che, tornando ad allenarmi seriamente, spero di riavvicinare i 3'50'' che valevo quella volta.
In ogni caso sarei già contento di riuscire ad allenarmi 5-6 volte alla settimana, giusto per cominciare a ragionare in termini di carichi da maratoneta. E fanculo il crono.
Se tutto va bene il programma potrebbe essere il seguente:
1 maggio: 10k città di Oderzo
A seguire due settimane di rigenerazione
15 maggio-15 luglio: preparazione estiva per l'amatore standard (Albanesi)
A seguire due settimane di rigenerazione
1 agosto-28 ottobre: preparazione per maratona di Francoforte
Va da sè che, in un programma di così lunga portata, qualcosa sarà da modificare in itinere.
Intanto domani si torna a casa, ed è già un buon inizio!

lunedì 11 marzo 2013

Il posto dei maniaci

Diciamocelo, correre a Tirana non è un gran bel gusto.
Sul circuito della vergogna ormai sono abituati alla mia presenza e in tanti mi salutano. Purtroppo 2,5 km dei 6 complessivi costeggiano l'autostrada e non è proprio il massimo.
Il lago artificiale è l'unico posto decente dove correre, però il circuito non è finito ed uno dei 5 km è praticamente un cantiere. La carrareccia fangosissima attraversa anche una piccola e poverissima baraccopoli sommersa dai rifiuti e abitata da bambini perennemente lerci e adulti che vivono di espedienti.
Nessuno dei due posti è adatto ad eseguire dei test perché i dislivelli sono continui e fastidiosi. L'unico tratto dritto è la diga ma non fa 400 metri di lunghezza.

Il lago artificiale

La strada attorno il lago
Ancora attorno al lago

L'altro giorno però, curiosando su google maps, mi salta all'occhio un nome, che mi ricorda un progetto visto l'anno scorso in un libro dedicato all'architettura di Tirana: Parku 1 kilometer.
Guardo e bene  e mi informo. Leggo trattarsi di una vecchia pista d'atterraggio per mezzi militari, dismessa, ed usata dagli albanesi per esercitarsi alla guida delle auto (sarà per quello che non sanno fare le rotonde?). Qualche anno fa uno studio d'architettura italiano ne ha curato la riqualificazione: il parco "mira ad... unire frammenti urbani intorno ad esso" (ho usato google traduttore, ma la vaccata non dipende dalla traduzione). Nel sito c'è anche una bella escusatio non petita: "Progetto del Parco 1 km propone l'istituzione di alcune strutture leggere per gli utenti del servizio come bagni pubblici, ecc. Queste strutture sono in programma per la seconda fase di attuazione, a causa del limitato budget assegnato al progetto.".

Parku 1KM, render nga Atena Studio
Rendering

Parku 1 km, Prill 2011
Realtà

Forse una persona normale penserà che un progetto del genere sia roba da Architetti frustrati, ma un vero maniaco non può non vederci un posto meraviglioso per le sedute di ripetute.
Domani test 5x1000, senza più nessun alibi.
Finalmente quella vecchia pista tornerà a veder sfrecciare un Caccia...

mercoledì 6 marzo 2013

And then it's not all this shit

C'è il fatto che lavorare qui mi costringe ad usare l'inglese e questo mi fa sentire il vero "extracomunitario", visto che qui un bel po' di loro ne parlano tre, di lingue.
E poi c'è il fatto che, dopo l'influenza, ho dovuto interrompere a due terzi un interval training e una seduta di ripetute sui 1000 che qualche settimana fa mi avevano riservato qualche soddisfazione.
Demoralizzato e sommerso di lavoro ho lasciato passare otto giorni per smaltire la botta, ma intanto mi sono fatto un'enterite fulminante.
Fatto sta che ieri, per ritrovare anche un po' di motivazione e non buttare nel cesso quasi tre mesi di incostante ma dura preparazione invernale per l'amatore standard (fonte Sant'Albanesi), ho cominciato a lavorare su un futuribile ma improbabile 10k.
Come da vecchia tradizione di autunnale memoria, decido di correre al mattino presto. Alle ore 7.45 scoppio sul falsopiano che conduce a Tirana e chiudo barcollando 10k a 4.42.
Vengo a patti con la mia condizione e decido che se va così tra due settimane mi faccio gli esami del sangue per vedere se si è impossessato di me lo spirito stanco di un novantenne.
Già stamattina la motivazione barcolla e, dando retta ad una vocina che mi dice "Non forzare, le gambe fanno ancora male, non ti vorrai mica infortunare subito..." e balle varie per nascondermi l'amara verità che consiste nel fatto di non avere voglia di soffrire ancora, me ne fotto nei 10k e mi dedico ad attività meno faticose (tipo farsi la barba dopo 15 giorni, guardare la replica di Fiks Fare su Top Channel, vedi foto sotto).
Ma alle 13.20 la voglia ritorna come il figliol prodigo e mi immetto nel circuito della vergona. Ne vengono fuori 5k a 4'35'', 3 k a 4'15'' e 2k a 4'00'', invero un po' alla canna del gas, ma considerando che gli ultimi 2k sono i peggiori come dislivello, posso dire che alla fine non è tutta 'sta merda.




Le veline

I due conduttori, Saimiri e Doktori

E adesso voglio vedere le visualizzazioni delle singole immagini.

martedì 26 febbraio 2013

Simone Grassi

Non lo conoscevo personalmente, ma seguivo il suo blog e ho letto il suo libro. Nel libro il protagonista guarisce. Purtroppo la realtà è diversa.
Resta l'esempio di un uomo che ha lottato come un leone e per questo voglio ricordarlo.


http://www.simonegrassi.net/

martedì 19 febbraio 2013

Di influenze e di alleanze

Un mese fa, avessi vissuto giornate così, avrei avuto molto da raccontare. Adesso mi sembra di non avere molto da dire, quasi mi sia abituato al ritmo arrembante delle giornate a Tirana.

Mercoledì mattina scrivevo dall'aeroporto di Ljubljana la mia invettiva contro gli incul(c)atori (di idee) (quelli che sono fermamente convinti che tu la pensi così ma non si sa bene su quali basi. Però loro SANNO). Già in bar però vedevo un tunnel all'orizzonte e nella notte mi ci sono infilato di filato, riemergendone con una faccia minimamente guardabile solo domenica mattina. Certo, solo un'influenza, per la quale quest'anno non mi ero vaccinato, ma stavo male sempre. Un'ora brividi, un'ora sudare come un Austriaco obeso in sauna e tre ore di cefalea pervasiva, mialgie, nausea, tosse squassante e mal di gola e via altro giro altra corsa. In 4 notti ho sudato a tal punto da aver inzuppato 14 magliette (contate, non è un'iperbole), e da dover ruotare continuamente il piumone per non dormire tra le fredde coltri bagnate. E poi si parla di qualità di vita.
Oggi mi sembrava di poter correre. Fisso alle 14 la pausa pranzo, ma alle 13 mi avvisano che mi hanno piazzato una visita alle 15. Anticipo la pausa e scendo furtivo, ma mi beccano e mi dicono di una riunione alle 14.30... ce la posso ancora fare. Arrivo in stanza e la signora sta lavando il pavimento a secchiate. Non ho il coraggio di rovinarle il lavoro per quel volgare passatempo da checche che è la corsa. Mi arrendo e vado a pranzo. Alle due e mezza sfogo sugli Amministratori in videoconferenza una rabbia giustificata solo in parte dagli eventi clinici. A fine riunione mi trovo sommerso da scadenze marchettare che però ancora non mi fanno rimpiangere i casi sociali di Monfalcone e solo alle 19 penso di aver fatto il mio e mi concedo di fare il giro in reparto tra i malati.
Non dico sia routine, ma se non stai attento 'sta cosa ti fagocita.

Una notte d'estate, mi trovavo in un rifugio sopra Cave del Predil. Si festeggiava un amico, vittima predestinata ed amata della serata. Una giornata di cammino in alta montagna, il cibo, il vino, il fumo l'avevano reso poco disponibile ai nostri scherzi. Io sapevo come si sentiva, ma non mi andava di rovinare la festa agli altri suoi amici, anche perché tra l'altro non avrei saputo cosa fare. Lui ha fatto la cosa giusta. Ha preso la porta e se n'è uscito per un quarto d'ora da solo nell'aria gelida e tagliente come il vetro, sotto una via lattea che ti faceva barcollare qualsiasi senso di identità, solcata dalle stelle cadenti di inizio agosto. Quando è rientrato era nuovo. La serata è nuovamente decollata grazie alla sua capacità di prendersi in giro. Alla fine mi ha detto. Era ciò che avrei dovuto fargli intendere di aver capito, ma le parole le ha trovate lui: "Mi sentivo come un cane braccato".

Talvolta mi guardo intorno e mi chiedo di chi fidarmi. L'unico per il quale metterei la mano sul fuoco (e  che farebbe altrettanto), è Olti, ma non voglio farlo entrare in certe dinamiche "gestionali" ed interpersonali eminentemente lavorative.
La famiglia non mi manca solo in termini di calore umano, ma mi manca la possibilità di una franca discussione con qualcuno di cui mi possa fidare ciecamente, sul lavoro e fuori.
Ora capisco perché Olti mi ha voluto qui. Sa che quello che farebbe lui, lo sto facendo io. Mi servono alleati fedeli.

Intanto l'altra sera siamo andati a vedere una casa dove eventualmente sistemare la famiglia, se e quando sarà qui... non ho detto niente a Laura, conterei di farle una sorpresa. Sarà una bella sorpresa.