A proposito dei miei amori

«Amo correre, è una cosa che puoi fare contando sulle tue sole forze. Sui tuoi piedi e sul coraggio dei tuoi polmoni.»

Jesse Owens

martedì 24 aprile 2012

Psicologia del runner debole

Mi chiedo se tutta 'sta cosa della corsa mi faccia bene.
Spesso il pensiero della corsa è pervasivo, ossessivo. Nel senso che la mia testa ritorna più e più volte nel corso della giornata all'argomento corsa-allenamento. Questo accade soprattutto se, durante la giornata, le ore trascorrono e non riesco a pianificare il momento da dedicare all'uscita di corsa. Quando mi attende una seduta impegnativa sono teso e, a volte, preoccupato. Talvolta mi manca proprio la voglia di uscire e, decidendo di infilare le scarpette, mi sembra di "rubare" del tempo ad attività più piacevoli (come stare con la mia famiglia). In queste occasioni cerco degli alibi e delle scuse per rimandare la seduta e solo due cose alleviano il tormento: decidere definitivamente che "Oggi non corro" oppure mettermi in strada. Per i medesimi motivi, quando riesco ad allenarmi al mattino, magari all'alba, la giornata è più "lieve". La sensazione è di essermi liberato di "un pensiero", di non dover dannarmi l'anima per trovare settantacinque minuti da dedicare alla seduta e di non dover stravolgere il resto della giornata in ottica corsa.
Vivo in me due diverse "pulsioni", non facili da esprimere a parole. Una è caratterizzata da un senso di "dovere", quasi di costrizione. Nasce dalla consapevolezza che qualsiasi risultato, sia in termini di salute, sia in termini prestazionali, deve passare attraverso al "frequenza". La mia testa mi dice "Oggi DEVI uscire a correre" ed il solo pensiero di tirarmi indietro fa insorgere prontamente un forte senso di inadeguatezza. L'altra "pulsione" è invece positiva, meno razionale, più viscerale, quasi romantica. E la sensazione che provo quando, dall'automobile, vedo un runner sotto la pioggia, oppure percorro la strada che normalmente utilizzo per allenarmi. E' quel sentimento di amore verso quel gesto tecnico, quel percorso, quel faticare, quel rifiatare, quel bestemmiare che si chiama correre ed allenarsi. E' tutto ciò che è frutto di quella "frequenza", di quella "imposizione". Sia chiaro che non sto parlando della gioia per un risultato. Essa sfuma presto ed è così rara da potersi considerare di assoluta eccezionalità, in confronto all'impegno profuso quasi quotidianamente. Mi riferisco invece a tutte le piccole e grandi cose piacevoli che accadono durante e dopo un allenamento: incrociare e salutare un altro podista, accodarsi ad un nonnetto in bicicletta senza faticare molto, notare lo sguardo di una ragazza dietro il parabrezza dell'automobile, filare a 3'50'' senza eccessiva fatica in una giornata di grazia, scorgere un animale selvatico incurante della tua presenza, leggere sul crono 39'50'' in una seduta di variazioni di ritmo sui 10 km, correre all'alba, scorgere le montagne innevate, provare a spingere con i piedi in salita, cercare di correre in scioltezza controvento, salutare i ciclisti che ti incrociano a 40 all'ora, sentirsi parte di una "comunità" di fissati come te e che condividono molte delle tue difficoltà, fare stretching a petto nudo in estate, bere dalla fontanella del cimitero perché hai finito la borraccia del lunghissimo, salutare l'amico sedentario che dal finestrino ti grida "vai che sei solo!".
Se solo riuscissi a vivere in modo diverso quella che ora mi sembra una necessità, un obbligo, un imperativo mi sentirei certamente più rilassato. Forse dovrei considerarla una "attività" vitale, al pari di nutrirsi o dormire, ma non ci riesco. E' paradossale, ma non sono "dipendente" dagli effetti benefici della corsa. Sono invece vittima della necessità di dimostrare a me stesso che ho una grande "forza di volontà" e per questo sono sempre teso, messo alla prova e giudicato da me stesso.
Come dire, se mi obbligassero a fare l'amore cinque volte alla settimana, pur tacendo dell'inevitabile ansia da prestazione, il dover sottostare ad un contratto, anche se autoimposto, rende il tutto, indubbiamente, meno piacevole.

martedì 17 aprile 2012

Quattro maratone ed una mezza

Martedì 10 aprile alle ore 11.30 Laura ha comiciato l'induzione al parto che l'ha portata, vi salto molti dettagli, alle 23.07 a dare alla luce il nostro secondo figlio: Cecilia.
Ho assistito a tutto, come per Leonardo, e dodici ore di contrazioni, non sempre insopportabili, almeno a dire di Laura, ma comunque sempre dolorose, non sono uno scherzo. Ho visto il suo volto cambiare in quelle 12 ore, ho visto superare la soglia di sopportazione, ho rivisto la serenità dopo l'anestesia peridurale, il terrore negli ultimi cinque minuti e di nuovo la luce quando la piccola le è stata posata in grembo.
Di fronte a questa sofferenza non mi lamenterò più per la fatica in una maratona. Laura, martedì, ne ha corse quattro di fila, senza sosta, l'ultima delle quali in salita, senza allenamento. Fate voi.

Ieri ho corso la maratonina dei Dogi.
Tempo effettivo: 1.23'40''
Tempo ufficiale: 1.24'05''
Messa così  potrei ritenermi appena soddisfatto, voto 6-. Del resto non ho mai fatto mistero di voler abbattere il "muro" dell'ora e 23.
Ed invece mi do un 7 abbondante, forse anche un 8.
La manifestazione si è svolta tutta sotto una leggera pioggia, che a me non ha creato nessun disagio né fastidio. Il vento era presente ma debole, raramente fastidioso.
L'organizzazione è stata, a mio parere, appena sufficiente: rapidi nella consegna pettorali e pacco gara, spogliatoio troppo piccolo, impossibile capire se vi fosse un servizio doccia, almeno fino a mezz'ora prima dello start, raggruppamento sulla linea di partenza "da davanti" con necessità di fare indietreggiare tutti i mille e più per fare spazio agli ultimi arrivati...
Le sensazioni durante il riscaldamento sono buone fino agli allunghi, fase in cui non riesco a muovermi con fluidità. Anche durante la gara questa sensazione mi accompagnerà e mantenere l'andatura prefissata costerà un eccessivo dispendio energetico.
Dopo le i primi 4-500 metri si riesce a correre bene, senza intoppi. La sede stradale è larga ed accoglie tutti senza problemi. Posso impostare un ritmo a sensazione e aspettare il riscontro del primo 1000: 4'01''. Al km 2 leggo ancora 4'00'' e provo a darmi una svegliata. Di qui in poi solo al km 18 leggerò 4'01'' e al 20 4'03''. Il resto sono fotocopie: dal 3'54'' dei km 3 e 6 al 3'59 del km 19 è racchiusa tutta la mia prova.
So che, se voglio stare sotto gli 83', ho bisogno di un passaggio ai 10k più veloce rispetto a quello di Pordenone (40'10'') dove però avevo trovato un bel finale con gli ultimi 2k in 7'30''. Mi ero quindi prefissato un passaggio in 39'30'', e sono passato in 39'29''. Mentre il vento in faccia mi conferma continuamente che viaggio sotto i 4'/km, alle gambe devo chiedere sempre un picccolo sforzo supplementare per mantenere l'andatura. L'asfalto però scorre e, nonostante mi renda conto che la fatica sta aumentando troppo precocemente, cerco di rimanere concentrato ed attaccato ad un duo "il volo" che, con sforzo minore al mio, mantiene la mia andatura. Al km 16 non riesco più a tenere i miei due compagni di corsa e lentamente mi stacco. Il cronometro mi consola continuando a segnare cifre incoraggianti (3'57''-3'58''). Mi rendo conto però che da qui in poi sarà una lotta per non calare e che di progressioni non se ne parla. La fatica è molta, le gambe bruciano ed anche il fiato si sintonizza sul passo con un rapporto di 1:1. Al km 18 mi ripeto che mi manca solo una ripetuta sui 3000 ma questo non mi impedisce di sforare per la terza volta la barriera dei 4'/km. Ingaggio un leale duello con un ragazzo col codino. Alla paletta del 20 (4'03'') cerco un po' di forza residua nei piedi. Leggo sul crono 1.19'20'' (split 10k 39'51'') e ricevo conferma definitiva che il primato personale è impossibile da battere. Ma almeno provo a battere codino. A tutta, davvero a tutta, non riesco a stare sotto i 3'57''. Arrivo sul traguardo finito e nei minuti successivi la piccola delusione cronometrica diventa consapevolezza di aver fatto una buona prova.
Nonostante le sensazioni di intensa fatica provate, negli ultimi 5 km sono riuscito a mantenere l'andatura iniziale (perdendo 7 secondi negli ultimi 5 km). Questo significa che la mia testa è divenuta più forte. Rendo merito ai cross che ho corso in inverno, quando l'impegno era elevato già dalle prime fasi, che mi hanno insegnato a soffrire molto e a continuare comunque.
Ritengo quindi di aver corso meglio ieri che in occasione del mio personal a Pordenone, nonostante lo split positivo tra i primi e i secondi 10k.
Tale ottimismo è rafforzato anche dal fatto che il giorno prima della gara sono comparsi mal di gola e dolori muscolari diffusi, persistenti anche dopo la gara e accompagnati da qualche linea di febbre. Stanotte la Tachipirina mi ha provocato una bella sudata e stamattina residuavano solo lievi postumi da sindrome simil-influenzale.
Insomma, dove ieri non sono arrivate le gambe, mi ha portato la testa. La speranza è che in una prossima occasione le gambe mi supportino un po' di più. L'ora e 23 cadrà in autunno.
Appuntamento il 6 Maggio alla maratonina dei due Castelli di Trieste. Percorso ostico ma stimolante, soprattutto nella parte finale del tracciato.

giovedì 5 aprile 2012

Come ti rovino la vita per sempre

Oggi mi è successo qualcosa che non mi capita spesso, diciamo da un paio di volte alla settimana ad un paio di volte al mese. Ogni volta è diverso ed è sempre difficile.
Mi sono seduto davanti al PC alla ricerca di una TAC di un paziente che seguo da qualche giorno e con il quale ho stabilito un rapporto di fiducia ed ascolto. Da un mese lui non sta bene, ha sintomi strani, mai avuti prima, fastidiosi. E' calato di peso, ma forse solo perché preoccupato. Però è ancora un uomo giovane. Mi hanno colpito subito i suoi avambracci, forti, segnati da vene bluastre in rilievo, costruiti da anni di lavoro duro. E' una persona che ha ancora tanto da dare. Me lo ricorda il disegno a tratti insicuri che tiene sul comodino, come un santino. C'è una dedica: al mio nonno.
Leggo e rileggo la TAC, chiamo il radiologo perché voglio essere sicuro di ciò che vedo. Non ci sono errori o dubbi.
Fuori dalla porta della sua camera mi fermo un attimo. Lo sento chiaccherare con il compagno di stanza. Non immagina ancora che tra qualche minuto tutto cambierà. E sarò io a doverglielo dire.
Sono qui fuori con una carta in mano e sto per distruggere la vita di un uomo, i suoi sogni e quelli della sua famiglia. Nei prossimi dieci minuti gli rovinerò la vita PER SEMPRE.
Faccio un sospiro, metto il piede in stanza, lo guardo negli occhi e lui ha già capito. Ha l'espressione di un pugile colpito da un diretto al volto e ogni mia parola, che DEVO dire, perché fa parte del mio lavoro e del suo diritto ad essere informato, sgretola tutte le sue speranze. E ogni parola è come un masso sulla sua vita e una lama sulla mia lingua.
Lo incrocio in corridoio nel pomeriggio e non mi sorride più come faceva gli altri giorni. Lo sappiamo entrambi che non è colpa mia, ma anche che quel momento e la mia faccia la sognerà centinaia di volte nei prossimi mesi e, svegliandosi, scoprirà che non è stato solo un incubo.

Una settimana fa ho incontrato una famigliola in ascensore e la mamma mi ha chiesto un parere veloce sul suo bambino. All'apertura delle porte la famiglia è uscita e una persona che era presente al dialogo mi ha detto: "Voi fate un lavoro bellissimo!".
Vorrei sapere cosa ne penserebbe se fosse stato fuori dalla porta di quella stanza, con me, stamattina.