Solo ora tolgo le scarpe dalla borsa in cui le ho riposte domenica pomeriggio. E nemmeno per correre, visto che stanotte ho tremato sotto le coperte in preda alla febbre ed ora me ne sto chiuso in casa con le mani fredde ed i brividi lungo la schiena. Febbre o no, oggi non avrei comunque corso perché i quadricipiti sono ancora lievemente indolenziti. La scarpa destra ha ancora i lacci sciolti fino quasi al primo incrocio, memore del chip con il logo BMW che è stato lì ospite per una notte e mezza giornata.
I ricordi sono ancora colorati di sensazioni, suoni e odori, insomma vivi, a testimoniare che ciò che ho vissuto è stato intenso, ma non per forza reale. Ci sono dei buchi nella mia memoria della gara di domenica. Lo dico pur consapevole del rischio di essere giudicato un vecchio smemorato. Per tre ore ho vissuto totalmente assorbito nel presente e la massima proiezione temporale di cui sono stato capace non andava oltre l'orario presunto di arrivo. E' stato come correre al buio con una pila frontale potente ma puntata verso il basso ad illuminare la strada per 3 metri: perfetta conoscenza degli elementi che in quel momento contano, totale estraneità ed indifferenza per tutto il resto. Pertanto restano soprattutto emozioni più che "avvenimenti" da raccontare ed anche quei pochi sono separati da zone oscure che, per quel che ne so, potrebbero essere stati vissuti da qualcun altro.
Sfioro il corpo caldo dei maratoneti che mi stanno accanto e davanti e dietro. Sto un po' meglio di prima. La temperatura non è male, saranno 14-15 gradi, ma c'è un vento fastidioso che ha reso penosa la prima parte dell'attesa in gabbia. Forse mi sono vestito troppo poco ed ho paura che avrò freddo. Lo speaker cerca di scaldare la folla ma i tedeschi sono come il vento che soffia da destra. Sessanta secondi dopo lo sparo transito sotto l'arco dello start. E' cominciata la mia ottava maratona.
Noi runner non (ancora) evoluti soffriamo di due sindromi: la sindrome RT e la sindrome del primo chilometro. La sindrome RT è caratterizzata dalla focalizzazione ossessiva delle nostre ambizioni sul real time, quasi che dichiarare quaranta secondi in più su una gara di oltre tre ore costituisca motivo di vergogna.
La sindrome del primo chilometro è definita dai seguenti tre criteri:
- ansia per ogni rallentamento che si possa verificare nei primi 1000 metri.
- terrore che al passaggio al km 1 le cifre del cronometro segnino anche 1'' in più del tempo deciso a tavolino ottenuto dall'integrazione di informazioni quali: velocità media dell'ultimo lunghissimo, peso corporeo dopo aver fatto pipì e cacca, temperatura, umidità e velocità del vento, pendenza della strada (calcolata al terzo decimale)
- attenzione eccessiva verso ogni minimo segnale proveniente da: piedi, gambe, vescica, retto (ecco, lo sapevo che dovevo fare pipì attraverso le transenne, sono 15 minuti che non la faccio ed ho già la vescica come un zampogna. Oppure: Maledizione, sapevo che ieri sera non dovevo mangiare la foglia di basilico che c'era nella pasta. Troppo fibre mi fanno sempre questo effetto).
Alla paletta del chilometro 1 passo in 4'25''. Il più è fatto.
BIP. Guardo il cronometro dopo 4 chilometri. 21'36''. Sul dorso della mano sinistra ho riportato dei numeri. Il primo è 22'. Sono in anticipo. Ok, adesso rilassati e rallenta un filo.
BIP. 21'38''. Un minuto avanti rispetto al preventivo. Ok, adesso rilassati e pensa alle gambe. Come stanno? Dunque, il lunghissimo di 36 km l'ho fatto a 4'29'' di media e l'ho finito cotto. Sono quasi 10'' più veloce e sto bene. Questo passo mi viene automatico. Che si fa? Rallento un po', dai.
BIP. 21'45''. Niente, non mi schiodo da quel ritmo. Per le mie gambe è una musica che si rifiutano di ignorare.
BIP. 21'39''. Potrei andare avanti così in eterno.
Passo alla mezza in 1.31.25''.
Le cose sono due: a) ho esagerato e me ne pentirò. b) sarà una gran giornata.
Mi viene una bella idea: per non rischiare, accorcio la maratona. Diciamo che la maratona finisce al km 35. Se arrivo vivo fino a lì poi posso permettermi di rallentare anche di 20'' al km (in fondo 4'40'' al km li so gestire bene anche se sono in difficoltà) e siccome 7x20 fa 140 e aggiungendo 2 minuti e 20 a 3 ore e 3 fa comunque un tempone, metto l'arco dell'arrivo al km 35 e tanti saluti. Alleggerito di 7 km mi faccio portare dal vento e passo al 25° con un parziale che mi pare regolare (21'28'' a posteriori), anche grazie ad un lungo rettilineo con vento a favore.
Le gambe non sono più quelle del primo chilometro ma nemmeno la paletta è quella del km 1. La nota positiva è che ha smesso di piovere (non mi si chieda quando è cominciato).
Al chilometro 30 passo in 2.10 contro una previsione di 2.12. Tra 2 km comincia la parte oscura della gara, quella in cui ogni passo potrebbe essere l'ultimo compiuto in stato di benessere. Ma a me mancano 5 km, 22 minuti, un giro di lago, niente.
Niente come i ricordi di quel tratto. Potrei anche non averli corsi. Gli unici momenti di coscienza sono quelli in cui la strada cambia pendenza e richiede un lieve cambio di assetto di corsa. Quando abbiamo riattraversato il Meno? Che aspetto ha la zona in cui era posizionato il tappeto dei 35 km? Passo in 21'41'' e mi pare un buon parziale se non altro perché simile ai precedenti. Non ha nessun senso mettersi a fare conti adesso ma se è vero che mantengo ancora circa 2 minuti di vantaggio sul me stesso virtuale allora posso sperare di scendere sotto le 3 ore e 5', a spanne.
Non resta che correre.
Mancano ancora 2 + 5 km, che ovviamente sono meno di 7, almeno nella mia testa. Testa che recupera un minimo di lucidità verso il 37° km, quando, ad un rapido check, perviene alla centralina il messaggio che le estremità inferiori fanno male e che il ventre mediale del polpaccio destro ha qualcosa da ridire.
In un punto a me sconosciuto del tracciato cominciamo ad incrociare gruppi di maratoneti a densità minore rispetto a quello in cui viaggio io, segno che si tratta di gente forte. Ma quanto forte? Sono davanti o dietro i palloncini delle 2 ore e 59 minuti? Certo, alcuni hanno un passo più efficiente del mio, ma non sembrano sviluppare gran velocità. Allungo il collo per scorgere Pier ma il percorso curva e ci addentriamo in zone in cui la strada è riservata ad un unico senso di marcia. Quando anch'io giungo dall'altra parte sono passati ormai molti minuti e mi rendo conto del perché la velocità dei veloci non sembrava velocità da veloci: violente raffiche di vento spazzano la sede stradale frenando il passo e rendendo a tratti precario l'equilibrio. Affiora alla mente il Vento di Venezia un anno fa e la facilità con cui avevo affrontato la bufera del ponte della libertà e del ponte di zattere. Oggi non mi è così facile mantenere l'andatura.
Il BIP del km 40 mi regala un 21'52'', più lento degli altri ma più veloce del previsto. Ma questo lo dico adesso perché in quel momento ho solo registrato di essere a 2 ore 53' e 30'' di corsa. A questo punto i conti sono facili. 2195 metri vanno in 10' e quindi posso contare di stare sotto le 3 ore e 4'. Detto questo nulla è cambiato. Vento ce n'è, spingere al massimo spingo, le gambe continuano a fare male ed il polpaccio destro è lì che, nervoso, si fa un po' di elettrostimolazione autonoma, specie nelle curve a sinistra.
Se in maratona arrivi decentemente al km 40 quel numero ti conferisce la forza di credere che nulla ti possa ammazzare. Anche nelle maratone più sperdute negli ultimi 2 km c'è il pubblico che ti incoraggia e questo aiuta. Non mi sono mai sentito un super uomo a correre la maratona. Anzi, a vedere quanti mi arrivano davanti sono sempre costretto a ridimensionare l'immagine che ho di me come podista.
Solo dopo l'arrivo mi rendo conto di quanta ruggine la sofferenza della maratona abbia grattato via dal mio animo e solo lì, dopo la riga bianca sul tappeto blu, avverto la leggerezza di un corpo ed un cuore completamente svuotati.
Ai 42.100 mi aspetta Laura. Ne riconosco la voce all'ultimo momento. C'è sempre stata, sia durante la preparazione sia durante la gara. Rispetta e sopporta le mie lamentele sui tempi e sulle gambe, le mie fisse sull'andare a letto presto e le sveglie ad orari da turno in fabbrica. Preparare una maratona non è faticoso solo per chi la correrà. Ci vuole tanto amore. Ed io ce l'ho.
Questa maratona è dedicata a lei.
3 ore 03' 25'' secondo l'organizzazione, 3 ore 03' 23'' secondo il mio crono, un numero che io preferisco di gran lunga, non solo perché ho la sindrome RT, ma anche perché è un tempo esattamente di 1 ora superiore al record del mondo stabilito a Berlino poche settimane fa. Come dire: kenioti, vi seguo a ruota!
il premio di correre vicino ma senza l'assillo del 2.59
RispondiEliminacerto tante paranoie, quelle di cui parli, ma son servite a tenere lontana la peggiore
Non nascondo che un giorno mi piacerebbe avere un obiettivo così, magari senza l'assillo, ma anche con, va bene lo stesso.
RispondiEliminaCiao
Stefano, mi ci sono ritrovata in piena nei tuoi pensieri specie quelli del primo km.
RispondiEliminaComplimenti per l'ottimo risultato ottenuto e.... vedrai che i tuoi obiettivi che oggi ti sembrano da sogno, un domani li realizzerai. :)
Ale
Ale, alla fine quanto hai fatto a Venezia?
Eliminacompliementi per la gara, ed il racconto è davvero bello!
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