Il periodo trascorso è stato particolarmente sofferto dal punto di vista podistico. A 4 mesi esatti dal mio arrivo a Tirana, il bilancio atletico è decisamente negativo.
Ad una prima fase di scarso allenamento che mi ha portato a perdere il buono stato di forma raggiunto con la preparazione invernale per l'amatore (Albanesi) si è avvicendata una fase di faticosa ripresa. Nonostante un'influenza come non avevo da anni (dite quello che volte, ma io l'anno prossimo mi vaccinerò come ho sempre fatto, visto che il vaccino mi ha sempre protetto, in barba ai propugnatori del virus che muta e quindi vince sempre), sono riuscito a rimettermi ancora più faticosamente in careggiata. E' stato poi il momento di una gastroenterite, di quelle con 10-12 levate notturne, che mi ha riportato di nuovo un po' indietro durante la preparazione di un 10k. Nella prima metà aprile è divenuto evidente che quel 10k non l'avrei corso per problemi di lavoro. Nonostante la rinuncia alla gara, ho continuato nella preparazione, con le andature che man mano si facevano più allegre, finché, a distanza di 3 anni, si è ripresentata una vecchia amica: la sindrome della bandelletta ileo tibiale. Siccome la conosco bene mi sono fermato subito, sperando in uno sconto di pena. Già il giorno dopo lo stop stavo bene, ma ho atteso 10 giorni per rimettermi in strada, ma niente, dopo 3 km di nuovo dolore. Altri 10 giorni di stop mi hanno restituito una certa gioia di correre senza cronometro, ma dopo una settimana e mezza di corsette di piacere, oggi mi sono rivisto con il signor ritmo medio, che mi ha dato una sberla in faccia e fatto capire che è tutto da rifare. Il 10 giugno sarò a Fagagna, rimettendo il primo pettorale dopo Venezia, ottobre 2012, senza velleità. Se riuscissi a correre 14,5 km sarei già contentissimo, ma credo di fermarmi un pelo prima.
Finito il riassunto delle puntate precedenti, vorrei fare una riflessione. Il mio allenamento sul percorso della vergogna ha ormai provocato una specie di tregua con i residenti. Ormai i ragazzini mi salutano orgogliosi e gli adolescenti più o meno mi ignorano. L'unica vera battaglia ancora in pieno svolgimento era quella col Cane Vodafone. Il Cane Vodafone è uno dei tanti meticci di taglia medio-grande, dal pelo fulvo e dall'aspetto non particolarmente elegante che infestano le strade di questo civile paese. La caratteristica che gli ha fatto meritare il nome di Vodafone è che è stato vagamente adottato dai quelli del servizio vigilanza del vicino centro di telefonia mobile. Dico vagamente perché probabilmente da loro riceveva un pezzo di pane al mese, mentre il resto del rancio se lo sudava devastando i cassonetti della spazzatura nei dintorni. Ma per quel che mi riguarda era un cane davvero speciale: infatti gli stavo indiscutibilmente e perennemente sui coglioni. Davanti all'edificio Vodafone ogni giorno passano centinaia di persone, ma solo uno si meritava il suo inseguimento e il suo ghigno bavoso: io. Sarà il correre, saranno le magliette colorate, ma insomma, potevo passare anche dall'atro lato della strada, rasente alla siepe di olenadri, che questo bastardo non esitava ad attraversare la strada tutto inarcato per mirare ai miei polpacci.
All'inizio passavo silenzioso e camminando, ma poi ho cominciato a fermarmi di scatto e fingere di affrontarlo. Nulla è servito a farlo desistere. Negli ultimi tempi mi limitavo ad urlargli contro qualche insulto. Poi è diventata una questione di orgoglio. Ovviamente all'inizio evitavo di passare di lì due volte, magari facendo il giro della vergogna nei due sensi opposti, poi ho cominciato a girare nella stessa direzione, passandogli davanti anche 2-3 volte. Negli ultimi giorni avevo preso a passare anche tre volte davanti al suo sporco muso anche se la distanza da percorrere mi avrebbe permesso di passare una sola volta nel suo territorio.
L'ultima volta che l'ho visto erano le 4.30 del mattino, mentre andavo all'aeroporto. Nel buio della prima alba, gironzolava con un altro vagabondo, spensierato, immemore dei nostri inseguimenti.
Stamattina alle 6.30, al primo passaggio, il Cane Vodafone non mi ha attaccato. Nulla di strano, anzi, spesso lo trovavo alla fine del giro, vicino ad un cassonetto. Non gli passavo mai troppo vicino quando era lontano dalla Vodafone, ma nemmeno troppo lontano, visto che sapevo che "fuori casa" era meno suscettibile. In fondo io chiedevo solo una pacifica tregua. A me la strada, a te cassonetti e marciapiedi.
Poi, lungo il tratto peggiore del circuito della vergogna, quello di solito controvento, quello con una strada dalla banchina disastrata, intravedo una grossa sagoma adagiata sul ciglio. Mi avvicino. Un rivolo di sangue esce dalla sua bocca a sporcare quei dentoni di cui andava così orgoglioso. La pancia è già gonfia, ed il pelo sporco di acqua e cemento che qualcuno civilmente ha scaricato lungo il ciglio. La somiglianza è forte, ma lo stato di cadavere ha alterato alcune caratteristiche: non c'è più la fierezza del portamento, ed il pelo non è più arruffato ma attaccato al corpo, la coda non ha più il ciuffo fulvo, ma è attaccata al terreno. Potrebbe essere il Cane Vodafone. Non mi fa pena. Non mi fermo, probabilmente non emana un buon odore (non che da vivo fosse un esempio di igiene), ma dentro di me lo saluto: sei stato un fiero nemico, ti ho detestato, ma mai ho desiderato sinceramente la tua morte e, anche se ti ho chiamato merda, o mandato affanculo o insultato pesantemente tua mamma, non ho mai pensato che, avendone la possibilità, ti avrei ucciso. Avevamo raggiunto un equilibrio io e te, in quell'odioso modo di salutarci ogni mattina e adesso mi preoccupa chi prenderà il tuo posto. Non esiste un paradiso dei podisti perché il nostro ce l'abbiamo già qui, ma ti auguro di finire in quello dei postini. Ciao Vodafone.
PS: potrei anche essermi sbagliato, e quel cadavere è magari una burla da te ideata. Se così fosse, sappi che domattina ti odierò con più forza che mai e continuerò a passarti davanti finché tu non ti arrenderai. Io non mollo, bastardo.
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